Motospia

Una scalata verso Erice con la Honda CB 125 F

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Ogni scusa è buona per prendere la moto ed esplorare. In questo caso, lo faccio applicando la filosofia del “downsizing” all’escursione odierna direzione Erice, che diventa una piccola e gustosa parentesi di montagna, ma con il mare in bella vista.

Ammetto subito le mie colpe. L’inverno sta regalando un mese di gennaio atipico, senza le solite piogge e le giornate di maestrale che deprimono umore e difese immunitarie. Oggi è domenica. Il sole splende. Il termometro, che è un tipetto sveglio con notevole spirito d’osservazione, se ne accorge e passa dalla manciata di gradi del primo mattino ai quasi 20 che permettono una migliore espressione della vita umana su questo pianeta. Dove sono le mie colpe in tutto questo? Presto detto: quando le condizioni sono quelle appena descritte, è un delitto voltare le spalle al mare. Ed è proprio di questo delitto che mi sono macchiato. Ma ho le mie ragioni: quando una splendida persona come Claudio Corsetti mi manda un messaggio carico della sofferenza data dal cielo grigio di una giornata padana con temperatura prossima allo zero… Allora so che è il momento di mostrare solidarietà e soffrire con lui. Devo farlo. Volterò le spalle al mare e andrò a cercare il freddo in quota. Ad Erice. Ovviamente, per quello che permette la zona e la mia filosofia di downsizing applicata a questa domenica mattina.

Devo mostrare sostegno agli amici, per cui decido che la mia destinazione di oggi sarà in altura: Erice. Sulla vetta del monte omonimo, ad una sessantina di chilometri da casa ed a 750 metri sul livello del mare, è un meraviglioso borgo che domina Trapani. Luogo prediletto da noi indigeni per cercare il fresco quando l’estate imperversa. Forte di una storia millenaria, tanto che le sue origini vengono fatte risalire al popolo Elimo e, più indietro, ad un gruppo di esuli fuggiti da Troia. Punto di vista privilegiato su questo lembo di Sicilia. Da lassù lo sguardo spazia sull’intera costa: ad est verso San Vito e a sud-ovest verso Marsala. Soffrire sì, ma con dolcezza. E ad Erice la dolcezza è di casa, vedremo perché.

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Il downsizing ancora una volta mi regala il piacere di un viaggio completo di tutte le sue componenti, ma in scala ridotta.

Mentre compio il sacro rituale della pulizia della visiera, cerco di definire l’itinerario. Amo visceralmente il mare e, poiché ho deciso oggi di allontanarmene, almeno per parte del tragitto voglio averlo a fianco. Andrò sulla costa e la seguirò fino a trovarmi sotto la rupe che ospita Erice, poi inizierò la scalata. Eccezionalmente, rinuncio ai tappi per le orecchie che da qualche anno invariabilmente utilizzo. Con la CB la velocità è così bassa che i fruscii aerodinamici sono trascurabili. Giro la chiave, c’è sempre quel senso di straniamento a vedere la strumentazione analogica che non fa nemmeno il consueto check con le lancette a fondo scala.

Profumo di vecchi tempi. Sorrido. La piccola si mette in moto puntualmente, silenziosa e docile. Nel giro di pochi minuti sono fuori dal paese, le dimensioni e l’agilità della moto la rendono uno strumento imbattibile per districarsi nel traffico peggiore, il che non è certo il caso di oggi. Il mare è una calma distesa azzurra, lo ammiro dalla SS187, già sommariamente descritta in passato. Supero Castellammare del Golfo, mantenendo la velocità fra i 60 ed i 70 all’ora indicati, corrispondenti a regimi compresi fra 5 e 6.000 giri. Un’andatura naturale per questa moto.

Seguo le indicazioni per San Vito, ma a Custonaci imbocco la SP18 in direzione di Trapani, restando così vicino alla bella costa che ospita diverse località balneari.

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Il viaggio dà gioia a prescindere dalla meta. Alla mia destra il mare, di fronte il monte con Erice ed i suoi castelli in bella vista. In una dichiarazione d’armonia con la mia idea di downsizing, i terreni che mi separano dalla costa sono coperti di alberi…downsized: sono le palme nane, tipiche della macchia mediterranea locale. Ma è giunto il momento di mostrare solidarietà a Claudio: senza esitazione imbocco la piccola provinciale verso Erice. La prima parte della salita porta a sfiorare, senza grandi emozioni, l’abitato di Valderice.

La seconda parte è meravigliosa come tracciato e come panorami. Nel mese di maggio ospita una cronoscalata che è una tappa fissa del campionato italiano e diverse volte ha fatto parte di quello europeo. Con la CB, qualsiasi velleità agonistica è da sopprimere in embrione. Nelle giornate limpide però, la strada offre una vista favolosa sul tratto di costa compreso fra Trapani e San Vito. E oggi gennaio è così magnanimo che non ha piazzato il solito nuvolone olimpico sul monte Erice.

A velocità da downsizing, la cosa più naturale è fermarsi nel corso della salita e restare a guardare il verde della vegetazione lambire il blu del mare vicino la Tonnara di Bonagia.

Ad ogni tornante guardo il mare, sempre più in basso. Al mio fianco, le palme nane lasciano il posto ai pini. La piccola Honda sale senza sforzo, basta non chiederle più di quanto può dare. Lasciare scorrere il motore in quarta, cercare di non perdere velocità nei tornanti e via, verso il prossimo rettilineo. Il tutto facendo attenzione ai tratti in ombra, ancora bagnati per l’umidità notturna. Ultimo tornante e poi il rettilineo finale, quello dove l’ultima cronoscalata a cui ho assistito ha lasciato per ricordo l’urlo di un V8 Ferrari in vista del traguardo, seguito dalla cupa voce del V10 di una Dodge Viper.

Copro la distanza del rettilineo nello stesso tempo che quelle due macchine hanno impiegato per l’intera cronoscalata. Il mono della CB non disturba nemmeno i passeri sul bordo della strada. Il parcheggio è quasi vuoto, ma non lo utilizzo ed opto per un giro in moto interno al borgo, la cui ZTL è attiva soprattutto in estate.

Consiglio decisamente di non entrare con la moto nel borgo. Le strade sono molto strette ed in pendenza, è difficile parcheggiare ma è facile scivolare. Andare a piedi è molto più rilassante e piacevole.

La pavimentazione delle viuzze è un misto di basolato e acciottolato che, con l’umidità della notte ancora presente, rende l’esperienza piuttosto interessante dal punto di vista dell’equilibrio. Il peso piuma della CB, tuttavia, garantisce che per questa volta non ci siano conseguenze spiacevoli. Esco dal centro e uso il grande parcheggio in prossimità del Duomo, non prima di aver immortalato la mia cavalcatura davanti alla bellissima chiesa. Di origine trecentesca, subì nel XIX secolo un radicale intervento, partito come restauro e finito come parziale ricostruzione. Rappresenta una delle vedute simboliche del luogo. Il parcheggio è gratuito nel periodo invernale e, sistemata la moto, mi godo la passeggiata nel silenzio.

Le case ericine hanno un’architettura tipica che prevede un cortile, quasi sempre chiuso da un cancello, che offre agli occupanti l’abitazione la possibilità di godere dell’aria fresca in estate con un minimo di privacy.

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Alla ricerca del lato dolce di Erice. Perché il borgo ha una solida tradizione dolciaria, nata in convento e fuggita, letteralmente, insieme alla persona di Maria Grammatico. La storia è narrata nel libro Mandorle Amare, scritto dalla simpaticissima Mary Taylor Simeti, praticamente a quattro mani con la protagonista. Ora titolare di diverse pasticcerie (la principale in via Vittorio Emanuele, 14. https://www.mariagrammatico.it/) che sono un tripudio di colori e profumi, oltre che di gente che ne affolla gli spazi durante la stagione turistica. Dopo tanto lavoro, è comprensibile che ci sia bisogno di riposo. E oggi, infatti, trovo tutto chiuso per un lungo periodo di ferie.

La dolcezza di Erice nasce in convento ma le spettacolari realizzazioni, soprattutto a base di mandorla, si trovano in vendita e rappresentano una vera e propria arte.

Non mi perdo d’animo, la pasticceria Grammatico era solo una delle due tappe che avevo in mente. Recupererò nella seconda, che è in qualche modo la fonte di tutto. La Pasticceria San Carlo (via Gian Filippo Guarnotti, 52) è infatti il punto vendita dell’omonimo convento. Un luogo silenzioso, intimo, in cui parlare con gentilezza ed a bassa voce, rispettando la sensibilità di chi vi lavora. Le foto non sono gradite ma, avendo chiesto il permesso, posso offrirvi qualche immagine che descrive l’atmosfera.

Per esempio, la bellezza struggente della cassapanca in cui sono ordinatamente sistemati innumerevoli mustazzoli di zucchero (o miele), i durissimi biscotti tipici fatti con la farina di mandorle. La cassapanca, pressoché sempre chiusa, mostra i suoi tesori soltanto se un cliente chiede di acquistarli. Le vetrine offrono un campionario di tutto quello che si produce, a partire dalle famosissime genovesi.

La Genovese.

Questo dolce, simbolo di Erice, porta un nome dalle origini oggetto di ampio dibattito. Fatto di pasta frolla, è ripieno di crema pasticcera e cosparso di zucchero a velo. Per me, è essenziale mangiarlo ancora caldo, con la frolla friabile che mostra appena un accenno di croccantezza. La crema che conserva il calore del forno, lo zucchero a velo che si spande gioiosamente sul giubbotto da moto. Gli occhi chiusi per lasciare alle papille il governo dei sensi. La prima finisce troppo presto. La seconda dura appena di più. Smettere è difficile, ma ci vuole buonsenso, soprattutto perché ci sono tanti altri dolci da provare e riprovare. Per esempio, gli zibibbi.

Ad Erice si associano soprattutto le genovesi, i dolci di pasta frolla ripieni di crema pasticcera. Ma c’è tanto altro e, se la glicemia lo consente, non ci si può esimere.

Gli zibibbi sono un’espressione d’opulenza gustativa senza pari. Un acino passito di uva zibibbo, con qualche goccia del suo liquore, viene posto al centro di un involucro di pasta reale. Che a sua volta viene ricoperto di cioccolato fondente. Un eccesso, senza mezzi termini. Se cercate qualcosa di delicato, girate al largo. Se cercate qualcosa di incredibilmente buono, ordinatene uno. Esco dalla pasticceria sensibilmente più pieno di come sono entrato. E più sorridente. Le vie in salita verso il Giardino del Balio mi aiutano a bruciare il 2% delle calorie di uno zibibbo. Le altre…amen, resteranno con me.

Il belvedere del Balio.

Nel giardino, attraverso i rami degli alberi si vedono le Torri del Balio (o Torri Pèpoli), che per un periodo hanno ospitato un affascinante e poco convenzionale albergo. Da un piccolo belvedere merlato si gode la vista del mare a nord-est fino a monte Cofano. Ma anche della Torretta Pèpoli e del Castello di Venere, costruzione normanna del XII secolo, edificata dove nel 1300 a.C. era stato fondato il tempio di Venere Erycina. Mi godo il silenzio ed un panorama favoloso, in temporanea pace con me stesso e felice di aver affrontato questo viaggio in scala ridotta.

Vista la prossimità a Trapani, Erice offre anche un ottimo cuscus. A parte il cibo, l’artigianato offre la possibilità di portare con sé ceramiche e tappeti tipici di grande bellezza.

Trapani e le Egadi.

Fa…ehm…freschetto. Qualcosa del genere. A Claudio, che mi ha ispirato il giro, dedico i 15 gradi di questa giornata senza vento. Può essere orgoglioso di me. Poi inizio la rilassante passeggiata verso il parcheggio. Per la discesa al livello del mare ho intenzione di seguire un’altra strada, più stretta ma con meno tornanti. Si dirama poco sotto il borgo e si dipana sul versante che sovrasta Trapani, con un piccolo belvedere dove fermarsi e lasciare vagare lo sguardo sulle isole Egadi. Passando davanti alla pasticceria, ho un attimo di incertezza nel passo. La tentazione di prendere un’altra genovese è forte. Scuoto la testa e proseguo. Stavolta no, mi dico. Resisto, nella speranza di mantenere un peso accettabile. Ad Erice, passare dal downsizing all’oversizing è un attimo.

 

 

 

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