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San Vito Lo Capo, i Caraibi del trapanese

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Indicazioni e consigli utili per una gita autunnale fra le bellezze, i profumi e i cibi tentatori della Sicilia nord occidentale.

Ottobre. La vendemmia è finita, fa buio troppo presto, il profumo delle caldarroste si mischia a quello pungente dell’olio nuovo. Malinconia autunnale? Qui è ancora tempo di bagni e nuotate ma l’ondata turistica, che in estate aveva ricoperto le spiagge, si ritira e restituisce i luoghi agli indigeni. Per me è il momento di recuperare il rapporto con San Vito Lo Capo, come ogni anno interrotto a maggio per eccessivo affollamento.

San Vito. Un posto che, quand’ero bambino, rappresentava il mare esotico della gita familiare. Si arrivava dopo un’ora di Fiat 127 senz’aria condizionata, sui sedili neri di vera fintissima pelle, al confronto dei quali la sauna finlandese è frescura silvestre. Ma qualsiasi disagio era dimenticato quando iniziava l’ultima discesa verso il paese e si vedeva la spiaggia candida ed un mare turchese, di un colore così bello da essere stato causa di una certa delusione la prima volta che sono andato ai Caraibi. I lidi a pagamento non esistevano, il paese era quasi deserto, se escludiamo il periodo di Ferragosto. Come faccio almeno un paio di volte al mese, mi metto in sella e ripercorro la strada che tante volte vide la 127 portarci ai Caraibi del trapanese.

Per arrivare a San Vito Lo Capo si può scegliere fra la statale 187 e… la statale 187

San Vito è su un promontorio che dista da Palermo circa 110 km. Per arrivarci si può percorrere la statale 187. Oppure si può optare per…la statale 187. La scelta è ampia ed i cartelli, seppure strani e vetusti, stavolta non mentono.

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La strada in questione ha l’origine dal lato orientale fra Partinico ed il mare, in provincia di Palermo. Poi prosegue verso Balestrate, attraversa Alcamo Marina e quindi circuisce Castellammare del Golfo. Il tracciato è gradevolmente sinuoso e carezza le colline direttamente prospicienti la costa nord-occidentale della Sicilia, con il bonus di frequenti vedute di spiaggia e scogliera che culminano con il belvedere di Castellammare, dove s’impone una sosta panoramica.

Il fondo è mediamente buono, molte altre strade della zona soffrono di più per smottamenti che creano gradini sull’asfalto. Il grip è scarso, ma a quello non c’è rimedio, da questa parte dell’Isola. Archiviato il belvedere, il percorso cambia tema: dal mare alla campagna. I vigneti si susseguono, separati dai campi che hanno ospitato fino a fine luglio le colture di meloni gialli per cui la zona è famosa.

Occhio agli autovelox nella discesa fra i due svincoli per Scopello.

Segnalo che la lunga discesa fra i due svincoli per Scopello (che merita un discorso a parte, insieme alla Riserva dello Zingaro) ha il limite di 50 km/h ed è spesso presidiata con postazioni mobili di autovelox. Per cui attenzione, visto che il tracciato non giustifica in alcun modo un limite così basso. Qualche bella curva, nella salita che porta a sfiorare il borgo di Balata di Baida, invita ad aprire il gas.

Segue qualche tratto più rettilineo e l’attraversamento di una zona abitata di Buseto Palizzolo, anche questa a rischio autovelox. Avvicinandosi a Custonaci, al tema campestre si aggiunge quello marmifero. La montagna, che sembra tratta da una schermata di Minecraft, è una sequenza di cave da cui vengono estratti cubi dell’apprezzatissimo marmo Perlato di Sicilia.

Cave di Custonaci.

Seguire le indicazioni per San Vito ci congeda dalla SS187 in favore della SP16. Questo è il punto dove fermarsi a risolvere un dilemma di portata amletica: dolce o salato? La prima opzione ci fa deviare di un paio di km e ci conduce al bar Odissea (GPS 38.078945, 12.663832) per assaggiare almeno un paio di “graffette”. Si tratta di palline di pasta lievitata e fritta che, appena si possono maneggiare senza ustionarsi, vengono farcite con ricotta zuccherata e gocce di cioccolato, praticamente lo stesso ripieno dei cannoli. Arrivando verso le 10 si mattina si rischia di trovarle calde, appena riempite. Troppo tardi e si rischia di non trovarle. Ognuna è un’eterea bomba atomica, di cui una è troppo poco e due ti fanno sentire in colpa. Una metafora della vita.

Se invece la scelta cade sul salato, allora la sosta dev’essere Pellegrino (GPS 38.076381, 12.693935), un panificio dove, stuzzicati dalla fragranza del legno di ulivo che brucia nel forno, si può acquistare e consumare il famoso “pane cunzatu”. Per i non adepti: pane cotto a legna che viene abbondantemente inzuppato di ottimo olio d’oliva, a cui si aggiungono origano, sarde salate, pomodori a fettine, pecorino primosale. La farcitura ha, a seconda delle zone, differenze (per esempio l’aggiunta di olive) che possono sembrare marginali ma che hanno il potenziale di generare faide secolari.

E dopo aver esagerato con il cibo, ci si redime passando per Purgatorio! ma il premio finale è l’arrivo al “paradiso”, cioè la spiaggia di San Vito Lo Capo.

Se è vero che questa scelta può essere un inferno, la redenzione è vicina perché la strada attraversa la frazione di Purgatorio, prima di tornare sul mare a Castelluzzo, costeggiare la baia di Màkari e, finalmente, arrivare a San Vito. Il paradiso.

Sulla via principale, il Santuario: una fortezza costruita attorno all’originaria cappella del Santo, rappresentato anche da una statua cinquecentesca attribuita a Gagini. In fondo, la bianchissima spiaggia la cui sabbia bianca ha spesso, sul bagnasciuga, rosse striature di frammenti di corallo. Dove il promontorio termina sul mare, il bellissimo e potente faro, che vale la pena visitare, previa autorizzazione da richiedere all’ufficio preposto della Marina Militare. Uscendo dal paese sulla costa ad est si trova la Tonnara del Secco, ormai ridotta a rovine, set di un episodio della nota serie TV sul Commissario Montalbano.

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Santuario di San Vito.

Anche a San Vito il dilemma “dolce o salato” si pone in tutta la sua enormità filosofica.  Il cuscus di pesce è il piatto simbolo della città, celebrato alla fine di settembre con l’ormai famoso evento Cous Cous Fest. Non lo descrivo, sarebbe come dire cos’è la pizza. Per il versante dolce, il caldofreddo è un caposaldo locale: una base di brioche o pan di Spagna inzuppato nel rum, poi i seguenti strati di corposo spessore: panna montata, gelato dal gusto a scelta, ripetizione della base imbevuta, panna montata e colata calda di cioccolato fuso. Granella di nocciole per chi vuole garantirsi la tessera Eternal Member del girone dei golosi. Una delle migliori realizzazioni si può ordinare al bar Cavalluccio Marino, in via Fratelli Maculati.

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Il caldofreddo.

Ma oggi sono meno affamato del solito e mi tuffo, oltre che nel mare, anche nei ricordi. Parcheggio la moto con attenzione, qui i vigili sono implacabili. Poi mi coccolo con un’altra specialità del posto: il gelato al gelsomino, profumato come una notte d’Oriente. Tanto profumato da dividere radicalmente chi lo ama e chi non lo sopporta. Mi rinfrescava quando scendevo dalla 127 tanti anni fa. Lo fa ancora oggi, con San Vito completamente diversa, ma sempre bellissima, ora che non c’è più folla.

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Cala Marina a Castellammare.

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