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Un milione di chilometri – Capitolo 23

Un milione di chilometri APRILIA PEGASO CUBE 650

CAPITOLO 23

YAMAHA SUPERTENERE ZE Km 34.500

Per entrare nel ricco mercato delle maxi enduro Yamaha rispolverò il nome della sua mitica macchina da guerra destinata a battagliare, sul fine degli anni ottanta, sulle piste della Dakar, la Superteneré.
Paragonandole si capiva subito che la discendenza era stata un po’ forzata, ché una era una 750cc con un 21” davanti e l’altra una 1200 grande e grossa, ma un nome carico di gloria è sempre un ottimo biglietto da visita. Non dico di essere stato totalmente insensibile a questi richiami ma non fu certo questo il motivo che mi spinse a prenderla. Prima di allora avevo sempre guardato alla grossa bicilindrica giapponese con interesse ma il suo carattere troppo mite, e qualche particolare qua e la, mi avevano sempre fatto desistere dall’acquistarla; invece quella versione 2014, arricchita da diversi upgrade, sembrava fare proprio al caso mio. Un’ erogazione più corposa ed un cruscotto da riferimento per completezza e chiarezza, nulla poterono di fronte alle vere, grosse e succulente novità che la rendevano fin troppo attraente ai miei occhi, le sospensioni elettroniche ed il cruise control. La mia attenzione era tutta per questi aggeggi che promettevano un notevole innalzamento del livello di confort, ed è strano, come solo pochi anni prima, li avrei guardati con malcelato disinteresse.

Per me, che passo spesso dall’utilizzo in coppia a quello in solitaria, poter cambiare l’assetto adeguandolo immediatamente al peso fu una rivoluzione, al pari del regolatore di velocità, che tanto avevo apprezzato in auto. Stavo invecchiando o semplicemente stavo mutando il modo di intendere la moto?
D’ altra parte, invecchiare porta con sé dei mutamenti e guai se non fosse così.
Alla voce “elettronica” era presente anche il drive by wire ed il controllo di trazione ma purtroppo la voce che dopo qualche migliaio di km sembrò mancarmi, fu il carattere. La moto si presentava affidabile, veloce, parca nei consumi e superdotata a livello di accessori, insomma pronta per portarti in capo al mondo, ma la natura del suo bicilindrico parallelo di 1200cc, pur fasato a 270°, era davvero poco emozionante. L’estrema regolarità e la gran coppia disponibile da subito, ma in maniera un po’ piatta, non mi scaldarono il cuore.
Nonostante avesse le credenziali per trascorrere molti anni nel mio garage e farmi percorrere molti km, senza chiedere null’altro che benzina, soffrì la mia insana voglia di provare sempre nuove moto e nuove ciclistiche; eppure quell’ estate in Islanda si comportò egregiamente e addirittura mi accompagnò, con un confort automobilistico, in una improvvisa puntata che dovetti fare in Germania. 3000km in 3 gg con tappe da 1500km in una sola giornata sono un banco di prova mica da ridere.
Dopo le esperienze degli anni passati, con Alex decidemmo di allargare il raggio d’ azione e da Islanda in moto nacque Avventure in moto per offrire la nostra formula di trasporto moto anche verso altre destinazioni, magari un po’ più a sud.
Quell’estate salì ancora nella terra dei vulcani ma, novità per me, alla guida di un grosso fuoristrada con al traino ben 8 moto. Quello che potrebbe sembrare un semplice trasferimento si rivelò una prova capace di mettermi decisamente sotto pressione, la guida di un mezzo così particolare e la messa in sicurezza di così tante moto (non proprio delle vespette in quanto a peso) fu uno scoglio arduo da superare ma mai quanto lo fu l’assenza di mia moglie. Le sospensioni della California e le botte rimediate nelle tante uscite con me in fuoristrada ebbero la meglio sulla sua schiena malandata e, nonostante fosse tutto già prenotato e pagato, quell’anno non poté seguirmi, con mio grande dispiacere anche perché, per la prima volta avrei avuto una settimana solo per noi, dopo gli impegni da capo-scout!
Quella volta con me c’erano pure Andrea col Ktm e Leo con la sua nuova Stelvio con l’ idea di spassarcela in zone ancora inesplorate o comunque fuori dalle rotte abituali. Più passava il tempo e più apprezzavo i posti isolati, tipo il Nordurfiordur, e a quelle latitudini trovarne non è difficile, tolto il percorso per arrivarci, si intende.
Un giorno con Alex decidemmo di esplorare la F 899 che non è un caccia ma una pista cieca con ben 43 guadi da affrontare ovviamente 2 volte. Sicuramente una trentina di questi sono classificati come semplici ruscelli ma i restanti posso essere tranquillamente assimilati a delle inondazioni e anche io, che amo i guadi, a fine giornata non ne potevo veramente più.
Dopo essermi separato da Alex che si trovava al Mivatn mi giunsero notizie circa una probabile eruzione del Bardabunga, un vulcano fessurale che, situato sotto il ghiacciaio più grande dell’isola, ha sopra di sé circa 500/700mt di ghiaccio che, sciogliendosi avrebbe conseguenze catastrofiche. In passato l’eruzione del Grímsvötn causò un’alluvione che cancellò un’intera zona dell’isola. In una giornata di quelle perfette, con Andrea stavamo affrontando prima la F 225 e poi la 208 per giungere al Landmannalaugar ed io ero talmente in forma che il mio amico, pur dotato di Ktm decisamente più performante della mia ST, non riusciva a tenere il mio passo, quando mi giunse la chiamata di Alex, che ruppe l’incantesimo.
Il vulcano sembrava proprio sul punto di esplodere e le moto andavano spostate al più presto ad Eglistadir, in zona porto, per non correre il rischio di rimanere bloccati. Il percorso da compiere era obbligato, da sotto c’era il rischio alluvione e allora fummo costretti a dormire a Borgames, distante 600 km, dei quali ben 300 in off road. Al risveglio il giorno dopo Andrea e Leo continuarono, bontà loro, a fare i semplici turisti mentre io dopo essermi spostato al Mivatn per caricare le moto, mi portai con un’ altra tappa da 600 km ad Eglistadir. Una volta lì per la stanchezza non scaricai nemmeno la mia moto per ulteriori giretti nel circondario ma passai i 3 giorni che mi separavano dall’imbarco, oziando e ripensando alla soddisfazione di aver comunque totalizzato 7500 km di puro godimento. Dopo appena 100 km in suolo danese è ancora il telefono a darmi brutte notizie: la moto di Andrea non parte e sono costretto a girare il convoglio per andare in suo aiuto. Sul rimorchio non c’è posto per un’ altra moto e la soluzione più logica sembra essere quella di tirare giù la mia per darla ad Andrea, liberando spazio per la cavalcatura azzoppata. Per fortuna l’ultima moto sul rimorchio è una Ktm 690, praticamente una libellula in confronto al resto del carico, e incastrandola per bene, riusciamo a far spazio per il Kappone malato. Il rientro sarà a due facce, Andrea ed io, al caldo del fuoristrada, e Leo a prendere acqua per circa 2000km. Morale: non tutto il male vien per nuocere, ma non ditelo a Leo.
Rientrato a casa, rivedere Barbara dopo 3 settimane, ebbe un effetto energizzante su di me e dimenticai in un attimo tutto il tempo e la distanza che ci avevano separato in quell’ Agosto così atipico, da single.
Passata l’estate mi rimisi subito al lavoro, non solo il mio principale ma pure quello di organizzatore di viaggi e misi in piedi con Alex un Capodanno in Marocco. Solita formula, moto spedite e viaggio in aereo; solo 4000 km ma veramente intensi e più completi rispetto alla mia prima esperienza in terra africana.
L’esperienza servirà pure a qualcosa, no? Poco tempo nelle caotiche e disordinate città e molte più escursioni. Come ad esempio a Merzouga, dove abbiamo passato un’ intera giornata, coadiuvati da guide locali, a divertirci lungo piste di sabbia compatta ai piedi di fantastiche dune. Oppure i passi dell’Alto Atlante, che anche percorsi con un gruppo di moto al seguito, sono sempre un bell’andare. Ma l’ aspetto che ricordo con più piacere di questo viaggio è stato il ritorno di Barbara sul sellino posteriore della mia moto. Le terapie e la ginnastica le avevano permesso di riprendere il suo posto accanto a me. Io posso anche andare in moto da solo e la cosa non mi dispiace ma credo di non avere più di 3 o 4 giorni di autonomia, passati questi inizia a mancarmi il confronto, il chiacchierare con lei nel casco e tante altre piccole e grandi cose.

Se è vero che siamo tutti una mezza mela, io la mia, la preferisco sempre tutta intera.

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