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Un milione di chilometri – capitolo 6

Un milione di chilometri APRILIA PEGASO CUBE 650

CAPITOLO 6

APRILIA Pegaso 650 KM 60.000

Fra miti e leggende i designers dell’ epoca si sbizzarrivano a trovare i nomi più evocativi per le loro creature e quando a Noale misero in strada “il cavallo alato”, pensai subito che sarebbe stato il mio lasciapassare per entrare finalmente nel mondo dei grandi viaggiatori. L’ innato desiderio di esplorare nuove strade che è in me, mi portava a sottoporre l’ incolpevole Morini a sterrati e pietraie varie, figurarsi cosa avrei potuto fare con l’ allora “maxi” veneta.

In realtà il mono Aprilia era più una fun-bike che una vera e propria rally-advventures e anche se non sapevo cosa volesse dire avere “5 valvole radiali”, la cosa suonava bene e insieme alla garanzia di tre anni, deponevano decisamente a favore del nuovo acquisto.
Con lei totalizzai 60.000 km in soli due anni aiutato dal fatto che iniziai ad usare le due ruote senza “discriminazioni stagionali”, in inverno come in estate.
Il Pegaso aveva un motore decisamente esuberante ben coadiuvato da una ciclistica sana, come da tradizione Aprilia, ma il serbatoio da 14 lt ed un consumo che ballava sui 14-16 km/lt determinavano un raggio d’ azione inferiore ai 200 km e rispetto all’ Excalibur, da 400 km a pieno, rappresentava un passo indietro. Ma alla luce del raffreddamento ad acqua e delle prestazioni nettamente superiori che traducevo in velocità di crociera di 140 km/h indicati, il primo pensiero fu: “con questa vado a Caponord”, non per il luogo in sé, ma perché in quel momento rappresentava, in un certo senso, le mie colonne d’ Ercole.

Aprilia Pegaso – 22 litri di serbatoio

 

Di quel periodo ricordo i quotidiani viaggi a Jesi per lavoro, alle volte anche due al giorno per un totale di 300 km; dopo qualche tempo smisi di prendere l’ autostrada e iniziai a preferire l’ interno fra Macerata, Filottrano e Jesi, prendendo confidenza con le curve. Con il passare del tempo e dei km lentamente andavo implementando l’ attrezzatura tecnica e apparve la mia prima tuta antipioggia in due pezzi che, privo di esperienza, adoperavo anche nei periodi più freddi. Niente di più sbagliato: con la tecnologia dell’ epoca le tute, non permettevano all’ acqua di entrare, ma allo stesso tempo, non favorivano neanche una corretta traspirazione col risultato di aumentare l’ umidità a contatto col corpo e di conseguenza il freddo percepito.
Non pago dei km, oltre 1500 fra andata e ritorno, che mi infliggevo per andare a trovare la mia ragazza di allora, residente nella Svizzera tedesca a Wohlen, nell’ estate del 1994 fui protagonista insieme ad altri 3 sventurati giovani di un tragicomico viaggio in Olanda e Danimarca.
In quel periodo della mia vita non avevo amici motociclisti tanto meno ne avvertivo il bisogno per il semplice fatto che non mi sentivo a mio agio nei viaggi in gruppo, quindi per le mie sortite continentali portavo con me solo amici che, pur non condividendo la passione motociclistica in maniera piena come me, amavano comunque l’ avventura e questa sembrava non mancare mai data anche la loro scarsa organizzazione. 5500 km a zonzo per l’ Europa del nord con giacigli di fortuna tipo grate dei benzinai dalle quali usciva della provvidenziale quanto benedetta aria calda, con 3 di noi senza guanti, ma con tutto l’ entusiasmo dei vent’anni che in me era particolarmente presente a tal punto che per nulla scoraggiato da quel viaggio alla “Brancaleone”, per l’ anno seguente organizzai un raid in Spagna e Portogallo. Alla partenza eravamo io, mio fratello e un paio di amici e, impreparati come sempre, fummo costretti a subire le angherie del meteo da un estremo all’ altro senza farci mancare nulla. Provammo sia la violenza di un alluvione nei pressi di Barcellona che l’opprimenza del caldo africano in Portogallo. Nonostante le lotte contro le bizzarrie del tempo (o del nostro abbigliamento?) e i dolori alle natiche dovuti alle lunghe percorrenze lo scorrere infinito di paesaggi intorno a me non faceva che esaltarmi e quasi costringermi a ideare, progettare ed infine mettere in essere sempre nuovi viaggi, magari in posti dove non si parlasse nemmeno un pò di italiano per ammantare di avventurosa incertezza il tutto.
Quell’incertezza che invece rifuggevo quando pensavo alle distanze fra un rifornimento e l’ altro e che mi portò a farmi costruire un piccolo serbatoio supplementare col quale aumentare i lt disponibili da 14 a 19 e toccare così i fatidici 300…fra un pieno e l’ altro.
Al solo pensiero che in Portogallo si viaggiava tranquillamente sui 120 orari con indosso solo dei semplici pantaloncini corti ho dei brividi ancora oggi. La mia non era una scellerata vocazione al risparmio, era più che altro incoscienza e inesperienza che non mi portavano ancora a comprendere l’ importanza della sicurezza che passa anche e sopratutto per un abbigliamento adeguato. L’ attenzione forzata alle nostre scarse finanze si manifestava invece, dormendo sulle moto o nelle pompe di benzina ad esempio salvo poi compromettere nuovamente la sicurezza perché un corpo non riposato è sempre più predisposto all’errore.
A capodanno, con la scusa di andare a trovare mia cugina a Zurigo, collaudai la mia nuova tuta di pelle che naturalmente non indossava l’ amico che portai con me dato che si presentò a mò di “Filini” con scarpe da ginnastica, jeans strappati e giubbetto da sci! Al Gottardo il ragionier Fil…, pardon, il mio amico aveva le articolazioni delle ginocchia quasi fuori uso e mi implorò di dargli qualcosa ma avendo freddo pur essendo “intutato” lo abbandonai al suo destino di passeggero male organizzato. Il fatto che a distanza di anni abbia molti più ricordi e aneddoti dei vieggi rispetto ai luoghi visitati mi fa comprendere quanto il viaggio stesso fosse la mia personalissima meta o forse è perchè viaggiando in quel modo barbaro, arrivati al traguardo, avevo appena il tempo di rimettermi in sesto che era subito il momento di ripartire?
I giri si susseguivano, sempre più insensati: Pasqua a Parigi in 3 giorni e mezzo viaggiando tutta la notte il primo giorno con un mono di 650cc e tutta quell’ autostrada ora avrebbe l’ aria di un calvario ma all’epoca eravamo felici così e in poco più due anni il cavallo alato si avviava a volare via da me.

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