Una sentenza della Corte Costituzionale tiene tutta Italia col fiato sospeso: le regioni possono abolire o addirittura ridurre il bollo. Una rivoluzione ci attende?
Il bollo (o tassa di possesso) non è mai stato particolarmente simpatico agli italiani. E se è vero che nel caso dei motociclisti non si parla di cifre enormi, chi possiede più veicoli tra cui magari auto molto potenti può arrivare a pagare diverse migliaia di euro all’anno. Forse questa tassa che molti di noi vivono come un vero e proprio sopruso diventerà un ricordo.
Ma come è possibile? L’ultima interpretazione sulla tassa automobilistica data dalla Corte Costituzionale con la sentenza 122/2019 richiama la norma fondamentale in tema di federalismo fiscale: il Dlgs 68/2011. L’articolo 8, comma 2, stabilisce che il bollo auto ha uno status particolare: non è completamente di competenza né delle Regioni né dello Stato, bensì demandato alle prime «entro i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale».
Quest’ultima frase è interpretata dalla sentenza così: le Regioni non possono variare al rialzo la tassazione rispetto ai valori previsti dallo Stato. Le regioni possono quindi fare tutto il resto, compreso stabilire esenzioni che le leggi nazionali non prevedono.
Dunque, mano libera a livello locale. Tanto che, volendo, le regioni potrebbero anche abolire il bollo auto a patto di garantire comunque l’equilibrio finanziario dei propri bilanci.
Teoricamente, se almeno una Regione decidesse di forzare la mano, questo potrebbe tradursi anche nell’attuazione di una riforma che molti nel settore auto chiedono da una ventina d’anni: il trasferimento del carico fiscale del bollo auto sul prezzo della benzina. Un’opzione che a una Regione potrebbe fare comodo anche in termini elettorali: il gettito verrebbe non più dai suoi soli residenti, ma da chiunque (anche straniero) facesse rifornimento sul suo territorio.
E dire che la questione era arrivata alla Corte Costituzionale per una ragione “minore”: l’esenzione per i veicoli di età compresa tra 20 e 30 anni, che l’Emilia-Romagna prevedeva solo se il mezzo fosse stato iscritto a una dei registri storici riconosciuti dal Codice della strada. Ma, nel dichiarare incostituzionale l’obbligo di iscriversi nei registri (versando una quota associativa ai soggetti che li tengono), il giudice della Consulta che ha redatto la sentenza è arrivato molto più lontano.