Motospia

Uno per tutti, tutti per uno

moto motori minarelli

Toyota e Yamaha da un lato, Audi e Ducati dall’altro. Il mondo automobilistico entra di prepotenza nel mondo delle moto. L’obiettivo? Solo il profitto.

Nel cuore della Motor Valley Emiliana – che si poteva definire così in passato – di Calderara, a pochi passi da Bologna e dall’aeroporto, si erge la fabbrica di motori per moto Minarelli; da tempo presidiata con bandiere e striscioni della FIOM. Una scena triste, un film già visto a Gerno di Lesmo pochi anni fa, che non vede il futuro, di quella che è una delle ultime fabbriche di motori presenti in Italia.

La Minarelli produceva motori per tutti. Nei primi anni 2000 si contavano oltre 500 dipendenti. Yamaha stessa ha sempre montato i motori italiani su prodotti di successo come Xmax250 e 125, XT660, i 50cm³ e tanti altri. Da quanto la famiglia Minarelli ha deciso di cedere a Yamaha le redini, il primo cambiamento è stato tutto giapponese, ma in stile Toyota (sì, perché nonostante le minacce ricevute, non ci stancheremo di dirlo, il primo produttore di auto mondiale è anche azionista di riferimento della casa di Iwata); cambiamento che è avvenuto utilizzando a detta della RSU Fiom, il metodo di lavoro Monosukuri; vale a dire un meccanismo alienante che costringe gli operai a compiere, per tutto il turno di lavoro, la stessa identica operazione: una tortura che non trova riscontri positivi sulla produzione.

In Italia a produrre motori sono rimasti la Fiat e i brand del suo gruppo (sempre meno), la Piaggio e la Selva motori marini. Altri come la Beta di Firenze ormai relegata ai soli trial ed enduro e la TM di Pesaro che produce moto da corsa riescono a sopravvivere grazie alla “nicchia” a cui si rivolgono; il mondo automotive lì, non ha interessi (per ora). La Minarelli, anche se a capitale giapponese, è una realtà importante

I giapponesi vogliono quindi cancellare anni di storia ed esperienza e si prefigurano tagli e licenziamenti significativi (come successo a Gerno di Lesmo). Fino ad oggi l’azienda produceva il motore monocilindrico di 660 cm³, il 125, 250 e il 400 per scooter e i 125 a marce oltre al 50 due tempi.

Di questi non si salverà quasi nulla, se non i 125, mentre si annuncia l’arrivo del 300 per scooter (XMax 300), ma non si hanno idee chiare sulle quantità che serviranno. Da un’azienda che ha annunciato in pompa magna venerdì 13 gennaio di aver chiuso il 2016 al primo posto nel mercato italiano delle moto, ci si aspetta di più. Ci si aspetta un impegno sociale, una capacità di traguardare i momenti difficili e indirizzare i mercati. Essere leader significa soprattutto questo. Significa non mentire ai propri dipendenti, con i quali solo dopo una serrata trattativa i responsabili della Fiom di Bologna sono riusciti a far accettare 11 mesi di cassa integrazione straordinaria.

E dopo? Tutti gli scenari sono aperti: è recente la chiusura degli stabilimenti produttivi di Gerno di Lesmo, che hanno bruciato molti posti di lavoro. Forse vogliono creare i presupposti per svuotare anche la gloriosa fabbrica bolognese; noi ci auguriamo che non sia così.

Anche se è difficile pensarla diversamente; perché sono fresche le parole di Andrea Colombi, soddisfatto di aver vinto la sfida del mercato italiano proponendo veicoli a prezzi “inferiori” al loro valore, come detto a commento dei risultati del 2016. E data la nostra inchiesta sulla guerra fredda che Yamaha sta facendo ai Concessionari ufficiali, chiediamo a Colombi se Yamaha Italia è una Onlus, mentre la Yamaha Minarelli una palla al piede?

E Ducati? con Audi pare che la direzione presa sia la stessa di Yamaha/Toyota, distruggendo per poi unificare le realtà. Le novità, a parte una Panigale Superleggera che sarà prodotta in pochi esemplari (500 pezzi per un fatturato previsto di circa 10 milioni di Euro), sono concentrate verso moto economiche

La Scrambler (8.950 € in Italia) diventa anche Monster (con motore economico raffreddato ad aria), e con questa veste troverà spazio anche la piccola cubatura (che su Scrambler si chiama Sixty2) destinata evidentemente ai mercati asiatici dove le patenti per moto fino a 400 cc sono relativamente facili da conseguire (oltre i 400 cc sono molto complicate). 

Altro esempio è la Multistrada 950. Hanno tolto dal listino la Hyperstrada (motard con le borse) e propongono sullo stesso telaio e sovrastrutture della Multistrada 1200 una moto equipaggiata con il motore 937cm3, che costerà 13.690€; molto più di una Yamaha Tracer, ma vicino a moto come l’Africa Twin di Honda. E lo sviluppo non è costato nulla perché era tutto già pronto in casa. 

Quindi Ducati si sta attrezzando per fare più moto, più piccole ed economiche, con logiche simili a quelle di Yamaha/Toyota. 

Ducati sta abbassando il livello di prezzo dei suoi prodotti, per intercettare un mercato sempre meno disponibile a spendere cifre importanti per le moto. Una fetta significativa che non è disposta a varcare la soglia dei 20 mila euro, ma 10 mila sì.

Pare che al lancio di Scrambler (veicolo venduto a meno di 10 mila euro) l’amministratore delegato di Audi fosse in “imbarazzo”. Ma abbassando i prezzi – per modificare al ribasso il posizionamento sul mercato – è facile che si abbassi anche la qualità dei prodotti, e Ducati non deve e non può permetterselo. Per quello che il Marchio Ducati rappresenta nel panorama mondiale, sarebbe un grosso errore; o forse è l’inizio di uno schema studiato a tavolino dai tedeschi – copiando dai giapponesi – per inglobare il marchio nei 4 anelli…

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