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Un milione di chilometri – Capitolo 19

Un milione di chilometri APRILIA PEGASO CUBE 650

CAPITOLO 19

MOTO GUZZI STELVIO 1200 NTX KM 85.000

Spesso angeli e demoni si fronteggiano nei pensieri di noi malati di moto e per una vocina che ci invoglia a cambiare moto ce n’ è una uguale, ma contraria, che invece ci consiglia di tenerla ad oltranza. Nonostante il K 990, dopo le mie cure, fosse divenuto simile ad un coltellino svizzero “buono per tutti gli usi”, al salone di Milano notai come mamma Guzzi aveva subito corretto il tiro sulla sua ultima nata, la Stelvio.
Il motore era stato ammorbidito per aumentare la sua indole da globetrotter e al posteriore avevano piazzato un più logico 150mm mentre vari accessori come l’ABS, il paracoppa, i faretti e le valige in alluminio le avevano donato finalmente una dotazione da segmento premium.
E siccome in appena 13 mesi il mio “coltellino” aveva sulle ruote ben 60.000 km e il punto di non ritorno era già oltrepassato, è facile comprendere chi vinse fra l’angelo ed il demone. Giunto in concessionaria impiegai 5 minuti per concludere l’affare mentre non basterebbero 5 giorni per spiegare quale fu la logica che mi spinse a prendere una Stelvio 1200 NTX, che con soli 18 lt riduceva e non poco, la mia autonomia rispetto ai 45 lt totali del KTM. Il diavolo tentatore aveva messo sulla bilancia il mio debole per la Moto Guzzi Stelvio e anche se dall’altra parte pesava la superiorità del KTM in fuoristrada, mi ritrovai alla fine in sella alla maxienduro di casa nostra.

Spinto da naturale curiosità inizio a frequentare il forum dedicato a questo semi sconosciuto modello e, come insegna il proverbio “nella botte piccola si trova il vino buono”, faccio la conoscenza di uno splendido gruppo di appassionati. Un gruppo eterogeneo di appassionati della Moto Guzzi Stelvio, chi più di moto, chi più di tavola, che ancora frequento al di là delle moto che si poi si cambiano con gli anni. Alcuni di loro purtroppo hanno intrapreso un viaggio senza ritorno ma rimane indelebile il loro ricordo e l’onore di averli conosciuti.
Per il ponte del 2 Giugno, con la moto che odora ancora di nuovo, organizzo un giretto verso il massiccio centrale francese. Mettendo in ordine i posti da visitare viene fuori che mia moglie non era mai stata in Auvernie tantomeno in Provenza e questo mi suggerisce un itinerario da 2800 km in 3 giorni e mezzo.
Sarà che sono cronicamente ripetitivo nel compiere certi errori o forse ho la memoria corta ma l’esperienza del passato non è servita a scongiurare una tale odissea in terra francese, solo che questa volta il finale è stato diverso. Il giro faticosamente l’abbiamo portato a termine e il test matrimoniale ha dato esito positivo dato che ancora oggi stiamo insieme. Ad Agosto la crisi economica si portò via il mio solito viaggio importante e fui costretto a saltare un giro. Verso la fine del 2009 la Stelvio è stata testimone del mio primo serio incidente in moto. E qui inizia la mia riflessione: dai tempi della 125 ne erano passati di anni e km eppure quello era stato il primo incidente da mettere a referto, per il calcolo delle probabilità avrei dovuto forse fare “certe esperienze” , diciamo più spesso. Di primo acchito sarei portato a pensare che sono un tipo fortunato, se non fosse che in giro leggo di gente che chiede se anche le altre moto oscillano sui 220 o se si riesce ad impennare a 150! Io non ho alcuna necessità di toccare certe velocità né di provare simili acrobazie, è già complicato tornare a casa sani e salvi usando la normale prudenza, figurarsi se, credendoci onnipotenti, sfidiamo la morte tagliando una curva o in un sorpasso azzardato.
Quella Domenica di Dicembre 2009 ero al lavoro e come consolazione a fine giornata, per rientrare a casa, stavo facendo un giro lungo godendomi la mia fida Stelvio quando, nonostante la mia stazza, i faretti accesi e l’ imponenza delle valige metalliche, un signore alla guida di una Focus ha pensato bene di ignorarmi.
A circa 40 orari mi pianto addosso alla ruota anteriore dell’ auto e volo dall’altra parte. La mia povera moto riporta ingenti danni mentre io, grazie alle valige sempre su, riesco ad evitare che la mia gamba si frantumi addosso allo sportello e per il resto conto sull’abbigliamento, che in effetti svolge egregiamente il suo lavoro. Il fatto che sia rimasto praticamente illeso mi ha permesso poi di ridere di gusto in faccia a tutti quelli che mi avevano sempre deriso per indossare l’abbigliamento protettivo anche per 10 km o per andare in giro sempre con le valige istallate. Purtroppo non era finita lì e me ne accorsi 3 settimane dopo quando il giorno prima del ritiro della moto dall’officina, mentre ero in giro con la Beta Alp di mia moglie, all’interno di una rotonda, un signore mi centrò in pieno mandandomi a terra per la seconda volta in pochi giorni. In tutti e due i casi, per mia indole, non ho avanzato richieste di risarcimento per danni fisici ma solo per riparare completamente le mie moto. So che altri si sarebbero comportati diversamente e io non li giudico, dico solo che io non sono così anche se non è detto che sia un pregio. L’anno dopo torna a farsi sentire il richiamo del grande nord e con quell’Andrea conosciuto in Islanda organizziamo in Agosto un viaggio a 3, alla ricerca di luoghi alternativi alla solita Norvegia o Scandinavia. E’ un giro che richiederebbe un mese ma siamo un gruppo snello ed affiatato, pronto a digerire tappe giornaliere da non meno di 600/700 km. Poco prima della partenza monto sulla Moto Guzzi Stelvio un serbatoio supplementare da 8 lt che porta l’ autonomia a sfiorare i 400 km e questo mi tranquillizza un po’.
Ci beviamo la Germania tutta per statali lambendo il confine ceco e polacco fino al traghetto a Rockstock per poi passare 2 rilassanti giornate nella bellissima Stoccolma.
A quel punto decidiamo di salire verso la Lapponia attraverso la dorsale, al confine tra Svezia e Norvegia. Nonostante conosca bene queste zone maciniamo km sempre con piacere, in mezzo a tanti caratteristici animali tipici di queste latitudini come alci, renne, scoiattoli. La destinazione finale è la vera Caponord cioè Gamvik e Kjollefiord, ché la più nota è un po’ “meno a nord”. Nell’ultimo caffè prima dell’ ingresso nella penisola ci fermiamo per un panino quando una gentilissima signora ci raccomanda, piuttosto vivacemente, di non dirigerci verso Gambvik, perché il tempo sta peggiorando.
Noi ci sentiamo esperti e col meteo avverso ci abbiamo avuto a che fare molte altre volte quindi educatamente ringraziamo, ma ripartiamo lo stesso. Dopo appena 100 km non serve a nulla dare mentalmente ragione alla gentile signora, ché con le moto paurosamente inclinate dal vento è meglio rimanere concentrati. Il fortissimo vento a raffiche, come se non bastasse, porta in giro pure dei preoccupanti pezzi di ghiaccio e quando stanchi e agitati scorgiamo la sagoma dell’ Hotel Nordkyn, stravolti come eravamo, non abbiamo chiesto nemmeno i prezzi e alla stregua di naufraghi, che finalmente scorgono la terra ferma, abbiamo letteralmente preso d’assalto le nostre stanze. In 10 minuti sono sotto una doccia bollente mentre fuori peggiora velocemente fino ad arrivare una bufera di neve.

L’ acqua calda porta via la stanchezza ma non il pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se fossimo stati ancora in giro con le moto.

Al rientro in Italia il parziale relativo al viaggio dice 12.000 km mentre il totale riporta ben 85.000 in poco più di un anno. Prendo come scusa il fatto che Moto Guzzi dorme un po’ e non rinnovando il modello fa in modo che inizi a guardarmi intorno…

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