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Un milione di chilometri – capitolo 10

Un milione di chilometri APRILIA PEGASO CUBE 650

CAPITOLO 10

MOTO GUZZI QUOTA 1.100 km 38.500

Il feeling nella guida che avevo raggiunto con l’ Elephant, mi permetteva di sorvolare sui suoi non pochi difetti anche perché pian piano stavo imparando a gestirli. Quello che non avevo ancora imparato a gestire era l’effetto che il lancio di un nuovo modello aveva su di me, così fu sufficiente la presentazione su Motociclismo della nuova Guzzi Quota 1100 per riaccendere il desiderio.

Senza neanche provarla, fidandomi solamente della cartella stampa, non ci pensai due volte a prenderla lasciando in permuta la Cagiva pur avendo quest’ ultima, solo 6 mesi e 25.000 km.

Come potevo rimanere indifferente di fronte ai numerosi miglioramenti rispetto alla passata versione di 1000 cc? La nuova Moto Guzzi Quota 1.100 si presentava con un motore leggermente più grosso, freni migliorati e più comoda della vecchia o almeno così sarebbe dovuto essere. Invece imparai a mie spese che non sempre le nuove versioni portano a reali upgrade. La sella risultava abbassata ma così facendo il millerighe del cardano non lavorava perfettamente in asse e c’ era il rischio di rompere il giunto e infatti ne romperò ben 3.
Con la certezza di aver fatto un affare la prendo, la uso, la tagliando e via verso Caponord con due moto al seguito, salendo veloci attraverso la Finlandia. Stavolta sono meglio equipaggiato contro la pioggia che non si presenterà mai ovviamente, ma in compenso mi rendo protagonista di una vera furbata: invece del casco integrale, parto con un jet che mi lascerà alla mercé di gelidi venti e terribili rimpianti.
Seguendo il suggerimento di un viaggio che avevo trovato su una rivista, andiamo a visitare le isole Lofoten e qui ci si para davanti agli occhi uno spettacolo veramente unico, le eruzioni vulcaniche hanno creato forme, levigate poi dagli elementi, che non sembrano nemmeno di questo mondo. Prendiamo una casa all’imbocco di quest’ultime e ci dirigiamo in escursione verso A*, cioè il punto esattamente più lontano.
Dopo 7000 km sulla nuova Moto Guzzi Quota 1.100 mi ero quasi abituato alle oscillazioni intorno ai 130 km/h come pure all’ erogazione poco fluida del suo motore ma, alla ripartenza dopo il pranzo, non si trattò di piccoli difetti o di abituarsi alle sue “caratteristiche”, semplicemente il cambio aveva deciso di abbandonarmi e me lo stava annunciando con rumori davvero preoccupanti, l’ innesto delle marce si fece sempre più contrastato fino a che, messa la quarta, questa non uscirà più. Chiamo il servizio assistenza e mi dicono di aspettare il carro attrezzi per giorno dopo e col cambio bloccato in quarta, dovendo affrontare i 320 km per tornare in campeggio, cedo il passeggero ad un amico che viaggiava solo ma la mossa si rivela inutile e anche a causa di una ripartenza sulla rampa del traghetto, mi gioco la frizione. Arriviamo in campeggio a notte inoltrata ed il mattino seguente alle 11.00 si presentano due ragazzi dell’ assistenza a bordo di una Volvo 244 con carrello. Saliamo in auto e ci dirigiamo in officina ad “appena” 300 km dal campeggio. All’arrivo, se non fosse per l’ insegna “Moto Guzzi service”, sembrerebbe di trovarsi nel film Mad Max ma per fortuna l’ impressione è sbagliata e mi ritrovo di fronte ad uno che ne sa!
Il titolare, che ripara e costruisce giunti cardanici, in 2 ore ha il cambio in mano e mi svela che non si tratta di difetto meccanico ma di una vite non battuta nella ghiera o meglio “volutamente” non battuta. In quel periodo si vociferava che la Guzzi avesse l’intenzione di spostare l’ intera produzione nei pressi di Monza, in un ex stabilimento Philips, ed è facile pensare come la protesta di alcuni operai possa aver preso la via del sabotaggio di alcune moto in catena di montaggio. Scoprì in seguito che le oscillazioni erano dovute a camere d’ aria invertite ant/post ed ai cuscinetti di sterzo lenti. A conti fatti mi trovavo nel posto giusto ma la sfortuna non mi aveva ancora abbandonato e pur arrivando in un solo giorno i ricambi, questi si rivelarono di un’ altro modello e quelli giusti non sarebbero arrivati prima di un mese. A quel punto avevo di fronte a me due sole cose da fare: ripararla alla “bene e meglio” decretando così la fine della garanzia o tornare a casa in aereo ed attendere la moto che sarebbe stata spedita a lavori ultimati? Opto per la seconda e col mio primo volo, in quattro tappe giungo a casa impiegando un pomeriggio, quando per salire fin lassù in moto ci avevamo messo 10 giorni.
Da quell’esperienza scaturì la mia scarsa simpatia per le maestranze colpevoli di quegli atti ignobili ma al tempo stesso il desiderio di farmi tatuare sul braccio sx il motore del primo V7 che realizzai da lì poco.
A vent’ anni da quell’esperienza ho debitamente smaltito l’incazzatura e mi rimane, oltre all’amicizia col meccanico nordico, il concetto che le moto possono anche rompersi e magari nel posto meno indicato e in quel posto alle volte ci sei proprio te. Ci vollero 3 mesi per riavere in patria “il ferito” che nel frattempo avevo sostituito, per viaggiare, col mio furgone. Mentre torno a guidare la mia Moto Guzzi Quota 1.100 con soddisfazione, sul mercato si affacciano i primi completi a tre strati che collaudo a Pasqua con un viaggio bis: la Parigi/Mont Saint Michel dell’ anno prima.
Era invece Giugno quando un giorno, in direzione S. Benedetto del Tronto, il giunto cardanico scese in sciopero e caricandola, stavolta su un furgone, ripensai basito che in un anno ero già alla seconda panne.
In Agosto dopo l’incidente occorso a mio fratello col quale avevo progettato un viaggetto in Scozia sentì l’ esigenza di virare verso un luogo amico e senza troppe sorprese: la Norvegia, fatto salvo il secondo giunto che saltò all’uscita da una galleria nei pressi di Oslo e che oramai sorpresa non lo era più. Non vi dico lo stupore del tizio dell’ assistenza quando, dopo avergli segnalato il guasto al telefono, mi risponde che anche l’anno prima un italiano aveva avuto un problema con una moto simile…
Di diverso dall’anno prima, c’ era invece che il mio passeggero non era più tale e nel frattempo si era moto munito.
Purtroppo rimaneva una profonda precarietà nel mezzo (moto molto usata e scarsamente tagliandata) nell’abbigliamento e nell’accessoristica, i capi d’ abbigliamento erano quelli miei e di mio fratello che avevamo gentilmente donato avendoli sostituiti con dei nuovi mentre le borse laterali erano quelle morbide del Portogallo ma senza telaietto!
All’altezza di Bergen inizio una personalissima guerra a suon di panne alle moto: la prima mossa è del mio amico, il suo quadro non da segni di vita e solo il mio fortunatissimo intervento ci permette di riprendere il viaggio, poi il giunto del Moto Guzzi Quota 1.100 muore e siamo pari. Torno in vantaggio quando il cuscinetto della mia ruota posteriore decide di lasciare questo mondo e a quel punto chiedo al mio amico di procedere dietro di me per sincerarsi continuamente che la ruota vada dritta e senza pericoli. La palla torna subito a lui quando in una sosta in Germania ci accorgiamo che la borsa lato marmitta, priva del telaietto, premendo sulla fiancatina sta provocando la sua lenta fusione. Interveniamo con un distanziale di legno che dopo qualche km, come logico, arrostisce e inizia a prender fuoco e siccome era dietro di me a guardare la mia ruota, nessuno vegliava su di lui e solo l’intervento di alcuni automobilisti ha evitato una borsa flambé in piena autobahn senza però poter far nulla per tutti gli indumenti che conteneva.
Storia travagliata quella del mio Moto Guzzi Quota 1.100 a differenza invece del mio equipaggiamento tecnico che andavo migliorando ed implementando di volta in volta al contrario dei miei occasionali accompagnatori.
Ma come potevo biasimarli se erano esattamente dove ero io nelle puntate precedenti?

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