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Mini touring: con la CB 125 F alla scoperta dell’arte di Gibellina

mini touring

Una parentesi di tempo libero, stretta fra due impegni, può diventare l’occasione di combinare un percorso di mini touring col downsizing, approfittando della bellezza che tutti abbiamo, in forme diverse, praticamente sotto casa.

Ci sono periodi della vita caratterizzati da attività particolari, che accomunano chi li vive. Per esempio, quello in cui si hanno figli abbastanza grandi da iniziare ad avere un accenno di vita sociale, ma non abbastanza da essere autonomi negli spostamenti. In questa lunga parentesi c’è tempo per farsi tante domande. Per capire se quelli che, in occasione della nascita del secondo figlio dicevano, riferendosi alla fortuna o a Dio, “che t’assista” intendessero davvero inserire l’apostrofo. Perché in questa fase il genitore diventa tassista. Senza apostrofo. E senza appello. Oggi è uno di quei giorni. Sabato mattina invernale, libero dal lavoro che mi dà da vivere ma non da questo ruolo scomodamente piacevole. Devo…travasare mia figlia da casa ad una riunione di studio, quindi riprenderla per andare a pranzo. Quale migliore occasione di combinare il downsizing con una percorso di mini touring?

Qualche ora che lo smartphone ed i social sarebbero felici di fagocitare senza costrutto. Ma stamattina c’è il sole e non fa nemmeno troppo freddo, per gennaio. La moto è il primo pensiero. Con una settimana di lavoro sulle spalle, il tempo passato in sella ha l’effetto rilassante di una sessione di meditazione Zen abbinata ad un massaggio alle terme.

Il downsizing permette escursioni turistiche succulente ma brevi, sia come tempo che come distanza, evitando i programmi in favore dell’improvvisazione.

Salgo…anzi scendo in sella, considerate le dimensioni non proprio da maxi della CB 125 F. Trovandomi già nella zona sud del mio paese, la scelta più naturale è proseguire in quella direzione e puntare verso Gibellina, a meno di 40 km da casa. Come avevo già detto in passato, questa piccola moto ha grandi qualità ed anche oggi mi gratifica con poco. Non è una questione di velocità, ma di naturalezza di guida e di agilità. Di spensieratezza.

I tratti di strada più tortuosi, se non sono in salita, diventano un luna park. La moto è coerente e non si scompone, se si adotta una guida sensata. Significa utilizzare i freni con delicatezza e cercare traiettorie rotonde per lasciare scorrere il più possibile la moto, visto che ogni chilometro orario perso diventa arduo da recuperare. Mentre affronto le curve come uno scemo, ho coscienza del fatto che la prossima caduta la farò con questa moto, osando troppo col sorriso sulle labbra. E quindi, almeno per oggi, smetto di fare il cretino. Però anche dove la guida consiste nel procedere a 60 all’ora, non mancano le gratificazioni. Il panorama della campagna invernale è meno brullo di quel che si crede e la fioritura dell’acetosella tinge di giallo le colline.

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Il downsizing mi consente di scegliere i miei percorsi anche su strade di campagna mal tenute, senza mangiarmi il fegato per le buche e godendo di vedute negate al turismo veloce.

La piccola CB mi porta su e giù per le colline al suo ritmo, che trovo estremamente piacevole una volta firmata la rinuncia alla fretta. Mi rendo conto di avere un sorriso stampato in faccia, anche se all’appello mancano 105 dei 115 cavalli della Tracer 900 GT che è la mia principale cavalcatura. A margine dico che in contropartita, al momento di fare il pieno, ho riscontrato un consumo reale di circa 50 km/l. A me non cambia la vita, ma il dato spiega ampiamente il successo di vendite di questa moto in Gran Bretagna, dove è da sempre un best seller tra i pendolari.

In ogni caso, poco più di mezz’ora del mio mini touring e passo davanti al cimitero di Gibellina, il cui ingresso è chiuso da un cancello che è esso stesso un’opera d’arte. A firma di Pietro Consagra, porta il titolo di “Riferimento all’irripetibile”. Superfluo spiegarne la ragione. Mi fermo a scattare una foto, mettendo la piccola opera d’arte della Honda davanti a quella dell’artista mazarese, ora sepolto proprio nel cimitero che mi accoglie. Per mia fortuna, non definitivamente.

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Gibellina è un controverso tentativo di rifondare, nel nome dell’arte e della progettazione razionale, un paese distrutto dal terremoto del 1968.

Passo davanti al museo, di cui sta per essere ultimata la ristrutturazione. Mi fermo davanti la chiesa madre, opera di Quaroni dall’inconfondibile forma sferica. Intorno a me, opere d’arte moderna sono sparse agli angoli delle strade. Alcune incompiute. Nel complesso, una sensazione mista, gratificante e frustrante in rapida alternanza. Bellezza in offerta, l’arte che raggiunge finalmente il suo posto nella quotidianità, appena vedi qualcuno che stende i panni a pochi metri da un’opera importante. Ma anche l’arte che non riesce a nobilitare e promuovere del tutto un tessuto cittadino. Nel corso dei decenni, molti hanno condannato Gibellina in quanto cattedrale nel deserto. Non sono d’accordo con la sentenza, perché è importante che sia stato piantato un seme. Ma capisco il fondamento della critica.

Alcune opere versano in condizioni che denunciano l’urgente bisogno di restauro. Ma la segnaletica turistica è stata evidentemente rinnovata di recente e questo lascia ben sperare per la sorte di tutto il resto.

Interpretando il mini touring al meglio, vago per le vie di Gibellina, senza meta. Approfitto dell’andatura a passo d’uomo che la CB mi offre con naturalezza e mi fermo dove c’è qualcosa da vedere.

Gibellina è un piccolo paese con meno di 5.000 abitanti. Ma anche un affascinante progetto, portato avanti dall’estroso ed eccentrico sindaco Ludovico Corrao, di origini alcamesi ed ora sepolto nel cimitero visto al mio arrivo. La distruzione del vecchio paese, in occasione del terremoto del Belice del gennaio 1968, offrì l’opportunità per la ricostruzione ex novo in un luogo meno rischioso e più vicino alle vie di comunicazione.

La rifondazione fu realizzata con vie larghe e con case che non fossero addossate le une alle altre alla maniera araba, tipica di tanti centri abitati della Sicilia. Quest’approccio di progettazione razionale stravolse non poco le abitudini degli abitanti ed innescò una polemica che non si è mai davvero sopita. Le rovine della vecchia Gibellina furono invece ricoperte da cemento ad opera di Burri, diventando la maestosa opera che prende il nome di Cretto. A poca distanza, le macerie di quelli che furono gli abitati di Salaparuta e di Poggioreale rimangono a testimoniare della violenza distruttrice del sisma.

La ricostruzione dopo il terremoto fu un lungo percorso tormentato, la cui filosofia è bene indagare personalmente. L’approccio minimalista mi consente di andare per le vie in moto come se stessi camminando.

Sulla filosofia alla base di un approccio del genere si potrebbe discutere all’infinito, ma meglio di qualsiasi discussione è fare la propria esperienza personale, toccare con mano. Ogni via di questo piccolo paese offre un interessante miscuglio di vita quotidiana, di cultura, di arte, di incompiutezza tipica siciliana. Mi fermo davanti alle forme curvilinee del Meeting, altra opera di Consagra che ora ospita l’autostazione ed un bar. Il complesso e scenografico Sistema delle Piazze è deserto, in questo sabato mattina, nonostante il sole sia un invito a restare all’aria aperta.

Lascio la Honda al margine della pavimentazione a motivi geometrici e faccio miei questi spazi che ad un tempo sono delimitati ma lasciano che lo sguardo si spinga da uno all’altro, quasi senza soluzione di continuità, pur nelle variazioni di tema architettonico. Ci trovo delle analogie con il downsizing, che mi permette evasioni senza limiti pur rimanendo nei termini di una limitatissima fuga fra due impegni.

Il rinnovamento della segnaletica e qualche nuova installazione mi fanno sperare che il futuro di Gibellina possa essere migliore. La sua posizione, al centro dell’occidente siculo, la potrebbero rendere una base turistica interessante.

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Proseguo nel mio percorso di mini touring, passando accanto all’”Aratro” di Pomodoro, quindi mi fermo nei pressi del Municipio, dove la “Torre Civica” di Mendini movimenta le linee della piazza ed è progettata per diffondere, quattro volte al giorno, rielaborazioni elettroniche di suoni facenti parte della cultura locale, come canti popolari o voci di venditori ambulanti.

Mi fermo a guardare una nuova installazione, che mi cattura con la sua raffigurazione di tre occhi. Opera del catalano Fontcuberta, porta il titolo di “Gibellina selfie” ed è composta da oltre 6.000 mattonelle in ceramica, ognuna recante stampata una foto, di qualunque soggetto, inviata all’artista dagli abitanti di Gibellina. Le mattonelle sono poi composte, sfruttandone le differenze cromatiche, in modo da formare una sequenza di tre occhi. Quelli di una bimba di 6 mesi, una donna di 31 ed un uomo di 71, per cui l’opera è sottotitolata “Lo sguardo di tre generazioni”. Parcheggio la moto e mi avvicino, per frammentare quei tre occhi nelle immagini che li compongono e aggiungere lo sguardo di una quarta generazione. Purtroppo intermedia fra le due maggiori e non fra le due minori, come la presenza della piccola CB potrebbe suggerire.

Il downsizing abbinato al mini touring rispecchia quello del tempo a mia disposizione. Anche riuscire ad essere puntuali è un’arte e tutta quella in esposizione a Gibellina m’invita a farla mia e recuperare mia figlia in perfetto orario.

La temperatura gradevole ed il sole invitano a dimenticare gli impegni, ma il tempo a mia disposizione è limitato ed io non ho intenzione di affrettarmi, al ritorno. Anche perché, avendo sposato una scelta di mini touring ed avendo scelto la Honda per l’escursione, la fretta sarebbe esclusivamente uno stato mentale. Allora, con gli occhi pieni…degli occhi, mi rimetto in sella ed esco dal paese. Passo sotto l’iconica stella di metallo e cemento che Consagra battezzò “Ingresso al Belice”. Per me diventa una porta che chiudo delicatamente alle mie spalle, prima di lasciare Gibellina. La campagna mi accoglie ancora una volta, con la terra scura sempre più coperta dal tenero verde del frumento che germoglia. Sembra addormentata ma non lo è. Un po’ come Gibellina, forse. Di certo, io me lo auguro.

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