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La buona officina (parte 1): Prima non c’era nulla

Prima non c’era nulla: chiunque poteva cimentarsi in officina nel fare il meccanico, anche chi faceva danni. 

di Marco Zacchetti, fotografie di Gianluca Gobbetti

Solo nel 1992 ”Al fine di raggiungere un più elevato grado di sicurezza nella circolazione stradale…” si regolamentò l’autoveicolo con la legge 122/1992 e si stabilì che con questo nome si doveva intendere ogni veicolo dotato di motore o trainato da un veicolo a motore in circolazione sul suolo pubblico.

La legge, fatta per sancire il diritto alla sicurezza stradale, e per responsabilizzare gli interventi di riparazione e manutenzione degli autoveicoli, fu scritta da una èquipe di tecnici ben pagati dal governo che dovevano confrontarsi con esponenti delle parti che a quell’epoca ufficialmente non esistevano. Il risultato fu una espressione di incompetenza, perché la quantità e i tipi veicoli a motore che già allora circolavano per le strade erano davvero tanti.

Per codificarli li raggruppiamo per tipologia: le moto, le auto, i furgoni, i camion, quelli col rimorchio e gli autobus.

La Motorizzazione Civile (o il Dipartimento dei Trasporti Terrestri, quando in seguito ha cambiato nome) al tempo di questa legge da decenni aveva già suddiviso ad esempio le patenti in: A per le moto, B per le auto e i furgoni, C per i camion, D per gli autobus, E per i rimorchi.

Pensiamo alle industrie del settore automotive.

Alcune di queste producono più tipologie di autoveicoli, alcuni esempi: Honda moto e Honda Auto – due stabilimenti, due loghi diversi; BMW moto e auto; Suzuki moto e auto; PEUGEOT auto e scooter etc. Fin dalla produzione, e poi, alla vendita e alla rete assistenza, le moto, le auto e i camion hanno strutture di supporto commerciale e tecnico ben divise.

Perfino il ricambio non originale è settorializzato in questo modo e, salvo le solite eccezioni, è molto difficile trovare produttori o importatori, grossisti o ricambisti che si occupino nel contempo e nello stesso posto dei tre settori tipici dei veicoli stradali.

C’è da credere che se in fase di industrializzazione di un prodotto si fosse potuto risparmiare qualcosa aggregando le linee di produzione, ebbene questo passo sarebbe già stato compiuto da parecchio tempo.

Quindi ancora oggi si continua a far distinzione tra i vari segmenti.

Le ragioni di questa separazione risiede principalmente sia nella differenza tra la tecnologia meccanica ed elettrica (oggi elettronica), che nelle dimensioni fisiche dei veicoli e quindi nelle attrezzature necessarie alla loro riparazione.

In commissione governativa, evidentemente nessuno si è posto alcuna domanda sulle diversità dei veicoli, per cui nella redazione del testo di legge, all’unanimità, arrivano a concludere che:

”Ai fini della presente legge l’attività di autoriparazione si distingue nelle attività di:

a) meccanica e motoristica;

b) carrozzeria;

c) elettrauto;

d) gommista.

In sostanza chi cambia gomme, lo farà indistintamente a moto, auto, autocarri e trattori agricoli.

Chi si occupa di riparare impianti elettrici dovrà farlo su ogni tipo di autoveicolo e così vale per il carrozziere, il meccanico generico e il motorista.

La legge distingue il tipo di intervento, ma non la tipologia del veicolo su cui il meccanico può intervenire

Avete mai provato a far verniciare una moto ad un carrozziere auto? Se è serio vi manda a quel paese! E andare a cambiare gomme da un gommista auto?

È normale ritirare la moto con la catena lasciata molle o troppo tesa, freni che non funzionano o ritrovarsi al cambio gomme con la camera d’aria di dimensione errata.

E l’elettrauto? Quando esisteva si rifiutava di mettere le mani su una moto: “impianti elettrici troppo diversi” dicevano.

Ma ancora oggi gli impianti elettrici di auto, moto e camion sono molto diversi.

L’impianto elettrico di una motocicletta
Il ben più complesso impianto di un’automobile

A parte le solite eccezioni, avete mai visto una moto Diesel? E una camion a benzina?

E allora perché il motorista deve essere in grado di riparare entrambi? Come dire che nel migliore dei casi la commissione (di cui come sempre non ci è dato conoscere i nomi dei responsabili) era semplicemente incompetente in materia. Forse speravano che qualche loro amico potesse produrre e vendere più attrezzatura di officina? (se devo poter riparare veicoli tanto diversi avrò anche bisogno di attrezzature tanto diverse, se voglio lavorare).

Ad ogni modo il popolo di meccanici è stato più saggio del legislatore: ancora oggi, nonostante la crisi morda questo settore come altri, se voleste rimediare un insulto senza fatica, potreste chiedere ad un gommista per autocarri di sostituire la gomma della vostra moto, o ad un carrozziere moto di verniciare la vostra auto!

Comunque meglio essere rimbalzati da un onesto professionista di officina che avere il lavoro eseguito male.

Le MOTO: era consuetudine iniziare l’attività riparando in officina biciclette, integrare con le riparazioni ai ciclomotori e quindi provarci con le moto vere. Chi era bravo continuava con le moto, spesso abbandonando le bici non certo per il guadagno, anzi … perché riparare le moto è sempre stata questione di passione, molto più che di soldi!

Si potrebbero suddividere il lavoro di officina da fare sulle stesse dal punto di vista tecnologico in: biciclette motorizzate quelle prodotte dagli albori agli anni ’40; motociclette spartane (passatemi il termine improprio) dal dopoguerra a fine anni ’70; motociclette ad alto contenuto tecnologico dagli anni ’80 ad oggi.

Dunque una legge era necessaria per dare regole e per determinare chi potesse riparare cosa.

Con l’entrata in funzione della legge 122/1992 entro settembre di quell’anno chi voleva mettersi in regola con la nuova legge doveva produrre fatture e ricevute fiscali per dimostrare di aver effettuato i lavori fatti e quindi ottenere una o più categorie di attività tra le quattro sopra elencate.

Non tutti diedero peso a quella scadenza, anche perché la stessa legge indicava eccezioni per chi davvero non era interessato alla riparazione: “Non rientrano nell’attività di autoriparazione le attività di lavaggio, di rifornimento di carburante, di sostituzione del filtro dell’aria, del filtro dell’olio, dell’olio lubrificante e di altri liquidi lubrificanti o di raffreddamento,…”.

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