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In Vespa alla scoperta dell’Epiro. Seconda puntata: l’Albania

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Lo scorso 18 febbraio abbiamo pubblicato la prima puntata del nostro viaggio alla scoperta dell’Epiro. Quell’articolo era dedicato alla Grecia. Questa volta invece ci occupiamo dell’Epiro in Albania.

Sarà che la malizia è negli orecchi di chi ascolta, ma quando alla dogana il poliziotto greco squadra me e la Vespa alzando le sopracciglia e con aria spiritosa mi augura “Buon divertimento!”, io non riesco a non pensare che mi stia pigliando per… la sella. Otto giri di ruota più avanti, il poliziotto che mi accoglie in Albania si limita a un sorriso e stranamente non dice nulla del fatto che la mia carta verde abbia una bella “X” a barrare la sigla del suo paese (a tutt’oggi rimane un mistero ma tant’è, i misteri esistono).

Varcata la frontiera con l’Albania senza assicurazione, mi fermo e rimedio subito in un ufficetto la cui insegna mi urla “Insurance”. Per due settimane, periodo minimo che si può assicurare, pago circa 12 euro. Poi, felicemente in regola, decido di cambiare un po’ di euro in lekë, la valuta locale, nell’ufficetto a fianco che ha decisamente poco di ufficiale. Sarà per quello che mi attira?

All’ingresso mi accoglie un omone. Sorrido (prima regola in Albania: avvicinarsi sempre con un sorriso!). In inglese dico che vorrei cambiare 100 euro in lekë. L’omone mi guarda e chiede: “Italiana con Vespa?”. Al mio sì inizia a ridere di gusto, dice di accomodarmi e di parlare pure italiano, che tanto lui capisce. Gli dò due banconote e lui le gira a un ragazzotto che sta seduto dietro il banco a radiolina accesa.

Il ragazzotto prende gli euro e restituisce un bel mucchietto di lekë. Sto per prenderli ma l’omone mi anticipa. Mi fa segno di aspettare. Aspetto. Lui li afferra e li conta. Quando finisce, sbatte il pugno sul tavolo così forte da farmi sobbalzare e sbraita tre parole albanesi al ragazzotto. Non so cosa gli abbia detto, ma immediatamente sul tavolo si materializzano altre banconote… che lui unisce alle precedenti e mi porge con un sorriso, augurandomi buon viaggio. Niente presa per la sella.

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Riparto destinazione Argirocastro. Nonostante il cambio di paese, il paesaggio è molto simile. E anche la strada. Bella larga. La Vespa borbotta felice: l’Epiro in Albania continua a piacerle.

Passiamo accanto a minuscoli paesini abitati dalla minoranza greca, sullo sfondo le immancabili montagne, qui in Albania un po’ meno spigolose. Mentre procediamo sulla E853 la mia attenzione è catturata da un enorme cartellone pubblicitario di una birra locale (scoprirò con piacere che le birre albanesi sono ottime) e soprattutto dalla quantità esorbitante di autolavaggi. È incredibile quanto ci tengano alla pulizia delle loro Mercedes!

L’arrivo in città è annunciato da una rotonda, uno dei concetti più relativi del mondo stradale. Scopro subito che in Albania è vissuta come un semplice cerchio da attraversare… in qualche modo! Chi passa prima? Dipende, è da giocarsela al momento. Io, già dentro la rotonda, sto per girare beatamente a sinistra, ma il camioncino che arriva in direzione opposta, nonostante debba darmi precedenza è altrettanto beatamente deciso a tirare dritto, e allora grazie Vespa, che sei piccola e lenta e ogni giorno mi insegni la modestia. Freno e lascio passare. Perciò, seconda regola in Albania: attraversare le rotonde con fare prudente e circospetto, anche se si ha la precedenza! Bisogna vedere cosa ne pensa l’altro…

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Il castello di Argirocastro.

Arrivata ad Argirocastro e sistemata la Vespa in hotel, provo la birra del cartellone e visito la città. Tappe obbligate: il castello e il bazar (con artigianato vero!). Poi chiedo consiglio per il pranzo a una giovane venditrice. «Su per quella strada, vedi? — mi dice in italiano —, non il primo a sinistra che è più per turisti, vai nell’altro che ha tavoli fuori». Detto, fatto. Mentre gusto abbondanti specialità locali (buonissima la carne e squisiti i peperoni ripieni di riso con erbette) si avvicina un omino. Ha capelli grigio-bianchi e due occhietti neri vispissimi. Mi chiede se può sedersi con me. Gli rispondo versandogli del vino. È stato professore qui in città e ha una figlia in Italia. Ha voglia di chiacchierare. Chiacchieriamo.

Il bazar di Argirocastro.

 «In Vespa qui, da sola?!» e ride, complimentandosi. Non lo dice, ma capisco che non ha mangiato e lo invito a dividere il pranzo con me, «Che io da sola non ce la faccio, vista la generosità delle vostre porzioni!». dico per convincerlo. E dopo tre polpette e poco più mi fa da guida per tutto il pomeriggio. Bellissimo tempo in cui lui parla, parla… e passeggiamo senza fretta per la “città di pietra”, come l’ha definita il suo figlio più illustre, lo scrittore Ismail Kadaré, che adoro. La sua casa natale, dove ci salutiamo, è oggi adibita a museo. Grazie prof!

La mattina seguente mi alzo cinematografica: un po’ Indiana Jones, un po’ Blues Brothers. “Siamo in missione per conto di Dio” penso mentre faccio colazione, decisa a passare la giornata alla ricerca di un’antichissima chiesa bizantina sperduta tra le montagne qui intorno. So che la Vespa è d’accordo.

Mentre partiamo osservo il cielo, blu perfetto. È arrivato settembre, col suo carico di bellezza. Direzione sud (cioè di nuovo verso il confine fra Albania e Grecia) per una decina di chilometri e poi deviazione verso l’interno. Verso le montagne. E si apre un mondo. Silenzio quasi irreale, pochi uomini alle prese con carichi di legna e altre fatiche concrete, e poi pascoli e pascoli e pascoli… Che ci attraversano la strada. E allora frena! Ferma. Il pastore che mi ringrazia con un cenno del bastone mi toglie di dosso la sensazione di essere un’intrusa.

La chiesa di Santa Maria a Labovë.

Ripartiamo e… l’asfalto scompare: si aprono le danze! Un paio di chilometri di strada fatta di crateri e sassi coi piedi perennemente giù, a inventare un equilibrio. Sembrano un’eternità. “Amore mio, non mi lasciare!” grido alla Vespa che, bontà sua, non mi lascia. Quando l’asfalto ritorna è magia pura. La strada che si inerpica in mezzo a declivi profumatissimi è già di per sé un’esperienza mistica. Solo ora capisco cosa significa l’espressione “aria pulita”. La chiesa, una volta raggiunta, mi ripaga di ogni fatica. Intitolata a Santa Maria, fu voluta dall’imperatore Giustiniano e pare sia per epoca seconda solo alla celeberrima Santa Sofia di Costantinopoli. Così mi inchino: alla storia, alla memoria, alla bellezza, a Cristo e sua madre che mi guardano dall’iconostasi. Missione compiuta.

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La sua magnifica iconostasi.

L’indomani è ora di ripartire, destinazione Valona. Guardo la cartina dell’Albania: ho due alternative.

Proseguire verso nord su questa strada interna e spostarmi sul mare più avanti, oppure scendere per qualche chilometro a sud, passare sulla litoranea all’altezza di Saranda e da lì arrivare a Valona rimanendo sul mare. Come si può non scegliere una litoranea, per di più se sulla Touring viene segnalata come “percorso pittoresco”? Oh sì, mi dico, basta montagne, ho proprio voglia di un po’ di mare… E poi, sarà pure più facile, penso immaginando le litoranee padane.

Beata ignoranza! In poche parole: convinta di fare una specie di Adriatica, mi ritrovo senza saperlo sulla strada del Llogara, impegnativa anche per i motociclisti grandi! Si passa dal livello del mare ai mille metri con pochi giri di ruota. E la Vespa, direte voi? Si diverte come non mai! Le numerose soste che faccio sono più per me che per lei, oltre che per godere del panorama davvero mozzafiato.

Verso Llogara.

I tornanti e i saliscendi durano per più di cento chilometri, col sole a picco che mi brucia la faccia, e a forza di girare su questa specie di montagne russe naturali mi sembra di perdere il senno.

Per questo, quando, all’ennesima curva, intravvedo una massa molto grande e scura sulla strada, penso di avere le allucinazioni. E invece il ritorno della serpentina mi mette davanti la dura realtà: una mucca ha preso la strada per il suo divano. Sta lì, spaparanzata. E adesso? Mi fermo. La mucca mi guarda annoiata. Subito nella mia mente ritorna la scena di due anni prima, quando, tra Puglia e Basilicata, io e la Vespa siamo state inseguite da un branco di cani randagi… questa non corre, penso per rassicurarmi. Dopo attimi interminabili decido di provare a passare. Lo spazio che ci serve c’è. Mi avvicino in prima, giusto un filo di gas per non inquietarla… e per fortuna non si inquieta! Quando arrivo a Valona e mi spiegano cosa ho appena fatto, non mi resta che brindare alla beata ignoranza.

Direzione Valona.

Il giorno successivo mi rilasso rimanendo a Valona. Con la Vespa percorro più volte il nuovissimo e scintillante lungomare (questo sì, piatto!). Mi godo l’atmosfera della città turistica. Bar, ristorantini, ombrelloni, chilometri di spiaggia.

Tra un caffè e una birretta visito il Museo dell’Indipendenza, che ripercorre la storia della liberazione dell’Albania dai turco-ottomani, avvenuta nel 1912. Proprio a Valona venne proclamata l’indipendenza, c’è anche un monumento a ricordo in un importante spiazzo cittadino; qui ci tengono davvero tanto.

Nel pomeriggio percorro i 10 chilometri e poco più della strada che porta alla laguna di Narta. Pare ci sia un monastero bizantino in mezzo all’acqua. Non voglio perdermelo! La strada corre larga e piatta in mezzo a una grande pineta. Io e la Vespa procediamo tranquille quando per poco nell’acqua non finiamo noi. Perché improvvisamente la strada diventa una specie di risaia. Una enorme pozzanghera la ricopre per tutta la larghezza. Mi fermo appena in tempo. Che ne so di quanto è profonda? Accosto decisa ad aspettare che passi un altro veicolo e vedere che fine fa. La macchina che passa dopo qualche minuto non viene inghiottita dalla melma: bene, andiamo! Immergiamo le ruotine.

La Vespa non si scompone nemmeno nella versione rinoceronte. Una volta arrivate a destinazione, scendo e percorro i quasi 300 metri di ponte esclusivamente pedonale che collegano il monastero di Zvërnec alla terraferma. Atmosfera irreale. La Vespa approfitta del sole per asciugarsi il fango.

Al termine del ponte, il monastero di Zvërnec, nella laguna di Narta.

E il 4 settembre arrivano i miei 40 anni e quello che ancora oggi è il mio record personale: 443 km percorsi in Vespa in un solo giorno!

 Li faccio con un’andata e ritorno tra Valona e Kruja (paese nelle montagne una trentina di km a nord di Tirana), con qualche deviazione e perdendomi un paio di volte. Kruja è l’antica capitale, quando l’Albania si chiamava Arberia, ed è simbolo della resistenza anti-ottomana di metà ’400. Proprio dalla sua cittadella, infatti, il popolo albanese resistette all’assedio turco per oltre 30 anni. Oggi i resti della cittadella ospitano il museo dedicato a Giorgio Castriota Scanderbeg, il leggendario condottiero che guidò la resistenza. Vero e proprio eroe nazionale (la sua effigie è presente sulla banconota di maggior valore, quella da 5.000 lekë). E proprio in una sala del museo Scanderbeg scopro che oggi l’Arberia è… in Italia!

Scanderbeg e il suo esercito.

Dopo la conquista ottomana dell’Albania, infatti, per non sottomettersi e mantenere la propria identità alcuni fuggirono di là dal mare, approdando in alcune zone del nostro centro-sud, dall’Abruzzo alla Sicilia. L’insieme di questi paesi si chiama Arberia, e gli abitanti arbëreshë. Ancora oggi conservano lingua, costumi e rito religioso delle origini. Possibile? Già affascinata dalla storia, guardo la cartina di questa nazione sparsa. Un nucleo piuttosto consistente è in Calabria, e in particolare nella zona del cosentino tra Pollino e Sila greca. E mentre scorro i nomi dei paesi, uno cattura la mia attenzione: Santa Sofia d’Epiro. Ma come? C’è un pezzo d’Epiro in Italia e io non lo sapevo? Devo andarci subito!

Sulla strada del ritorno sto già pensando a come fare. Di fronte a Valona c’è Brindisi, un traghetto le collega giornalmente. E una volta a Brindisi? Devo controllare la cartina. Sento di avere già quel sorrisino elettrizzato da nuovo altrove imminente. Ma come dice vecchio saggio “Chi guidando pensa non alla strada vecchia ma alla nuova, spiaccicato per terra si ritrova”. Infatti per un pelo non piombiamo su una capra nascosta dietro una curva (la capra ha salvato lei e noi saltando sul marciapiede praticamente a zampe unite!), e dopo non finiamo noi gambe e ruote all’aria perché ogni tanto l’asfalto, puff, sparisce dalla strada, lasciando il posto a polvere e sassi. Perciò, terza regola in Albania: mentre si guida mai abbassare la guardia!

Non contenta, e tanto perché adesso che ho 40 anni voglio esagerare, all’altezza di Fier, quando ormai sono a un buon punto del ritorno, decido di inerpicarmi a cercare il monastero di Ardenica. A fianco c’è la chiesetta dove Scanderbeg si sposò. Voglio visitarla. Un eroe e un tramonto mi rendono romantica. E così, dopo la visita, mi ritrovo a fare gli ultimi 40 km col buio. Dannato romanticismo! Li passo dandomi della cretina, pensando che è proprio il luogo migliore per contravvenire alla regola personale di non viaggiare in Vespa quando calano le tenebre… E chiedo all’anima di Scanderbeg di non farmi nascere e morire lo stesso giorno, che la simmetria mi dà fastidio.

Una volta in hotel mi attende un regalo bellissimo. Ilda e Petrit, i due gestori che mi conoscono da appena tre giorni, hanno preparato una cena sulla bellissima terrazza vista mare per festeggiarmi. C’è anche la torta con le candeline, che arriva mentre un telefonino suona Happy birthday to you. (S)Cena indimenticabile. Alla fine sono ubriaca di stanchezza e di raki, l’ottimo liquore albanese. Auguri, o meglio Gëzuar! Inutile dire che ve lo consiglio caldamente l’Hotel Globe di Valona

Veduta dal museo Scanderbeg.

Il giorno dopo la festa, io e la Vespa raggiungiamo il porto e ci imbarchiamo per Brindisi: destinazione Epiro arbëreshë!

Studio l’itinerario mentre faccio l’ultima colazione sul mare. Da Brindisi taglieremo la Puglia verso Taranto, poi scenderemo sulla SS106, la Ionica, fino a Sibari, dove ci inoltreremo sulle colline fino a raggiungere Santa Sofia d’Epiro. Significa 250 km, grossomodo, ossia 5 ore.

Arriviamo al porto. Entro nell’ufficio per fare il biglietto. La Vespa, parcheggiata lì davanti, attira l’attenzione di quattro portuali. Dal vetro guardo la scena: le girano intorno, senza toccarla, osservando ogni dettaglio e discutendo tra loro di chissà che. Lei, femmina vanitosa, si lascia guardare volentieri. Con il biglietto in mano, esco e la raggiungo. Quando i portuali, dopo attimi di incredulità, capiscono che è mia, al grido festoso di “Italiana!” mi riempiono di domande. Racconto il viaggio appena fatto. “Il passo del Llogara con Vespa?!?!” Già già, e lei ad ascoltare compiaciuta. A un certo punto, uno di loro mi allunga la mano per stringere la mia. È un momento importante, perché per un albanese la stretta di mano è cosa seria, segno di profondo rispetto. Mi guarda fiero dritto negli occhi e stringe forte (perché se no che rispetto è?). Ne sono orgogliosa.

Arberia arriviamo!

 

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