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IL GIRETTO, “BELIN MI SENTO UN POETA”

Comincia con il racconto “Il giretto” la collaborazione di Cristian Gloria con Motospia.it

Appassionato di strade sterrate, Cristian ci racconta la sua passione e le emozioni che anche un “giretto” di un’ora sola sulle colline dell’entroterra ligure sanno regalare. 

Il giretto

La catena scorreva fluida sopra il forcellone.
Il sole brillava tra i rami della macchia.
Solitario il sentiero saliva ripido la collina.
La vita intera pareva condensata in quell’istante.
Quale era la realtà, se non quella vissuta solo l’attimo appena trascorso ?
Come spesso accadeva, il giretto sulle alture dietro casa spazzava via i pensieri superficiali della quotidianità.
Ma anche gli interrogativi più profondi perdevano valore.
C’era ben poco … o forse troppo da capire.

Meglio esplorare, vagabondando tra rocce e sterpaglie, lasciando libertà alla mente di spaziare solo con l’istinto.
E l’istinto mi consigliava di salire, ma per per arrivare dove ?
Tra le pietre del ghiaione la gomma perdeva aderenza a singhiozzi.
Poco a sinistra sprofondava nelle viscere della roccia la grotta di Scornavacca con i suoi oscuri trascorsi.
Raramente, quando la sintonia con la moto era finemente accordata, saltellavo senza fatica sul roccioso pendio fantasticando su quanti animali fossero passati per quel luogo nel remoto passato.
Quando giungevo nei pressi della Rocca dell’Uomo ricorreva regolare una riflessione : cosa pensavano le persone che passavano di li, condividevano i miei pensieri ?
Allora mi fermavo, uno sguardo veloce per trovare la pietra adatta dove appoggiare la pedalina poi un respiro profondo.


Il giretto: Ogni volta lo sguardo spaziava l’orizzonte verso il mare, dal vicino monte fino all’isolotto più ad ovest.
La in basso a destra la ciminiera della vecchia Fabbrica, ora un moderno supermercato, poco più sotto la mia casa.
Che bello vivere in questo paese.
“L’infinito” è in ogni luogo, come la libertà, come un sentimento non ha confini, spesso basta la fantasia, un’illusione per farmi sentire felice.
Scaricando i liquidi in eccesso era inevitabile sorridere come un ebete e riflettere sul profondo aforisma di un vecchio amico “Una pisciata senza un petto è come un violino senza archetto”.
Pensavo, il mondo ha bisogno di uomini come lui.

Il giretto: Un calcio alla pedivella e via.
Ora arrivava il tratto difficile, quello che porta in cresta al monte.
Per anni dalla finestra di casa ho osservato il suo profilo dolce, soprattutto la sera quando si staglia come un’ombra nera e crea quello splendido contrasto tra il blu del cielo e la sagoma scura delle sue rocce.


Poi ho iniziato ad esplorarne a piedi gli anfratti e a godere delle delle sue forme con la mia moto.
Il terreno prima compatto e poco ripido si fa d’un tratto ostico ai tasselli della gomma, adesso è solo questione di abilità, se riesci a salire in scioltezza qui è una gran soddisfazione.
Ma anche solo l’essere presente in quel luogo, la rampa di roccia prima delle scaglie che portano in vetta, emoziona ogni volta.
Ora il mondo sembra ai miei piedi.
Chi sono per pensare con tanta arroganza?
Tutto e nulla.
Ci risiamo, ogni volta l’antinomia emerge e si fa prima sentiero poi strada quindi buia galleria di riflessioni senza fine.
Perché quando si tenta di arrivare alla radice delle cose importanti il valore di un idea conta quanto il suo contrario?
L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande si equivalgono.

La verità è antinomica e non può non essere tale, scrive Florenskij, convengono Eraclito, Platone, Cusano, Fichte, Schelling, Hegel. Ma è per Kant l’ elogio più alto.

Ma che cazzo penso quando vado in moto !

Il giretto:

Il motore ora iniziava a carburare un po grasso, soprattutto ai bassi non prendeva più i giri lesto come prima.
Sarebbe opportuno mollare mezzo giro di vite dell’aria.
Avevo provato molte volte ma sapevo che il problema con un po di pazienza si sarebbe risolto poco dopo, da solo scendendo l’altro versante della collina, bastava non essere troppo pretenziosi sull’erogazione.
Il due tempi a differenza del quattro rende il mezzo più umano, basta convivere con i suoi difetti intrinseci e tutto fila liscio. Già intravedevo la croce di legno che di recente era stata piazzata in vetta, la fatica nelle braccia rendeva imprecisa la guida. Mancava poco e con la forza del carattere gli ultimi scalini di pietre aguzze passavano sotto il paracoppa senza fare troppo danno.
Adesso è il paradiso.
Qui lo sguardo è libero di vagare in ogni direzione, la testa e il corpo si riempiono dell’etere inebriante che solo in questo preciso luogo mi avvolge.
Inevitabili riemergono dal passato versi leopardeschi a coronare questa beve pausa sulla cima.
“Cosi tra questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar mi è dolce in questo mare”.

Il giretto: Belin, mi sento un poeta!

Punto la ruota verso nord, a motore rigorosamente spento la breve discesa di ciottoli finisce nel prato tranquillo prima dell’anticima.
La buona taratura della forcella qui è importante, le mani e gli avambracci lo fanno capire subito.
Se tutto è in ordine vai via come un capretto.
Non vedo più il mare, l’impressione d’improvviso è di essere su montagne ben più imponenti, il suolo brullo, spazzato dal vento ricorda gli alti pascoli delle Alpi marittime lontani decine di chilometri.
L’occhio deve rimanere attento, la nuda roccia levigata si fa impervia, poco più in basso i cespugli di erica si alternano a boschetti di querce e rari castagni.
Provo una sensazione di smarrimento, ora mi sento solo, lo ero anche prima ma adesso cambia qualcosa.
D’improvviso l’ambiente perde la familiarità che aveva finché attorno era visibile la rassicurante distesa del litorale dove sono cresciuto.
Sono straniero in un luogo che pur avendo esplorato decine forse centinaia di volte non mi appartiene.
Sento di dovere un maggiore rispetto, come se la natura circostante fosse più fragile.

La gomma morbida rotola regolare sullo stretto viottolo che porta al poggio.
Il polso dosa meticoloso la manopola destra per evitare di scalfire il suolo denso di vita.
Solo in un tratto erto dove si staglia alto un gradone levigato dall’acqua serve tutta la potenza del motore, dopo un breve lancio si balza sopra l’imponente ostacolo con gran soddisfazione.
Se la manovra è corretta al culmine del roccione non esiste più l’uomo con il mezzo, ma un’unità che mi fa provare la fantastica sensazione di essere fuso nell’organismo unico moto-pilota.
Credo sia quello che vogliono gustare tutti gli esseri umani tra loro, e che gli atleti delle più disparate discipline apprezzano con l’esperienza e i loro attrezzi sportivi.
L’orgasmo, l’essere preda di un desiderio ardente che da un senso alla vita fisica.
Il cilindro borbotta corposo e senza strappi scaricando sulla carrareccia, battuta da secoli di alpeggi, pochi ma sinceri cavalli.
Disceso il pratone al limitare della boscaglia uno storico teccio annuncia l’inizio del torrente con la sua umida e rigogliosa gola, sfruttata per secoli da carbonai e solcata dai viandanti diretti nell’entroterra o verso la costa.
Pochi tornantini sdrucciolevoli conducono al fondovalle.
Nel silenzio, sfruttando l’inerzia della discesa le ultime gocce di sudore svaniscono da viso come benzina al sole.
Il sottobosco si fa fitto e frondoso, costeggio il rio avvolto dal rilassante fruscio dell’acqua che con parsimonioso carattere stilla incessante dalle ripide cascatelle.
Passo il prato dell’antica fornace, ho gli avambracci duri e i palmi dolenti.
Mi domando se sono stupido e irriconoscente.
Mi commuovo pensando che per secoli qui i nostri avi hanno arrostito pietre per farne calce consumando le mani e logorando le loro schiene.
Un paio di guadi, il tronco della vecchia quercia da saltare e arrivo al pian delle Rose, il rudere di Cà di Trinchella pare attendermi come un vecchio saggio, sembra dirmi … porta la moto in magazzino e torna ai tuoi doveri.
La strada del fondovalle ormai quasi pianeggiante fila veloce e io so che l’incanto del mio giretto è giunto a termine, vorrei voltarmi e tornare indietro ma il tempo ha un’unica ed irripetibile direzione.
E’ assurdo desiderare di più.

Ora sono a lavorare, alle spalle un’oretta di evasione, ho messo alla prova il fisico e la mente, una breve escursione in sella alla mia fidata compagna e qualcosa in più che scalda il cuore.

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