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ENDURANCE DI CREMONA ATTO 3 IL LUNGO RETTILINEO E LE PACCHE SULLE SPALLE

Il grande giorno è arrivato, l’obiettivo riuscire a portare a casa la bandiera a scacchi nella endurance di Cremona, pista mai vista, con una moto tutt’altro che sportiva. La manifestazione di Cremona é un evento unico nel suo genere e attira piloti di qualsiasi livello, con qualsiasi moto.

La Kawasaki er6 prima della partenza

Dopo settimane passate a sistemare la moto, fare i conti per il consumo di benzina e la scelta degli attrezzi da portare, arrivo con il resto del team al Cremona Circuit. Si rimane colpiti positivamente da molti aspetti: la pulizia generale di paddock e servizi, l’architettura della pista e lo stato dell’asfalto. In molti hanno scelto la tenda nel paddock, per evitare l’alzataccia il mattino della gara.

La cassetta degli attrezzi, con dentro tutto ciò che potrebbe servire

Finalmente ci siamo, domenica mattina, i box aprono presto per permettere ad ogni equipaggio di rifinire la preparazione delle moto, vengono assolte le ultime formalità burocratiche e assegnata la categoria di appartenenza (da azzurro, i più lenti- la nostra, ai più veloci di colore rosso) con consegna del transponder. Ogni squadra ne ha ricevuto uno e durante il pit stop si doveva passarlo da una moto all’altra.  Alle 9 è stato possibile entrare in pista per i turni di prove libere, dopo mesi su video on board e racconti di altri piloti ci siamo; la pista è molto bella, piena di curvoni veloci e curve da raccordare, e l’asfalto non è così rovinato come mi raccontano; la parte più divertente per alcuni (non per me) è il rettilineo: 970 metri di lingua d’asfalto dove la mia er6n raggiungeva con relativo slancio i 190 km/h, mentre già a metà rettilineo tutte le altre moto mi superavano come se fossi fermo. Nelle curve più strette non perdevo così tanto terreno come pensavo, quindi posso essere soddisfatto.

Dato che i miei compagni di avventura, avevano moto più veloci ho lasciato a loro l’onere della qualificazione. Col tempo di 1.38 riusciamo a guadagnare la 27esima posizione su 45 equipaggi partenti all’endurance. Dopo una pausa pranzo molto veloce passata a fare gli ultimissimi controlli sulla moto (pulizia e ingrassatura catena, check serraggi) e a provare a fare qualche modifica dell’ultimo minuto, si partecipa al briefing obbligatorio dove ci viene spiegata passo passo la procedura di pit stop. Il tutto avverrà davanti al box assegnato: la moto arriva, si deve spegnere e mettere sul cavalletto (anche cavalletto laterale va bene), si sposta il transporder sulla seconda moto, la quale poi verrà tolta dal cavalletto e verrà accesa, guadagnando l’uscita dei box. Qualsiasi altra operazione deve essere svolta all’interno del box. Dopo il briefing la tensione inizia a farsi sentire:il timore di qualche cedimento tecnico (la mia er6 ha più di 34000 km all’attivo) o di qualche errore è dietro l’angolo.

Il pit-stop, con il passaggio del transponder da una moto all’altra

Ogni team ha optato per una differente strategia; noi abbiamo deciso di dividere le 3 ore di endurance in step da 30 minuti a testa. La procedura di partenza prevede un giro dietro la safety car, per poi lanciarsi sul rettilineo più corto, quello della griglia di partenza. La prima mezzora di gara scorre senza colpi di scena o strani avvenimenti, e poco prima dello scadere dei 30 minuti inizio a preparami per la procedura di pit-stop. L’intera procedura è seguita da un Marshall che, in caso di irregolarità, penalizzerà di un giro l’intera squadra. Affronto il primo giro un po’ cautamente cercando di scaldare il più possibile le gomme, per poi cercare di perdere meno posizioni possibili e spremere al massimo gli 80 cv scarsi del bicilindrico fronte marcia. Riesco a mantenere un passo costante e ad affrontare tutte le staccate nello stesso punto e alla stessa velocità, tranne quella in fondo al lungo rettilineo, rovinata dalle auto che hanno scavato delle buche che la mia forcella non era in grado di copiare al meglio. Dopo aver affrontato la mia porzione di gara ed aver effettuato il pit-stop, noto con mia sorpresa che in 30 minuti ha consumato poco meno di mezzo serbatoio. I miei compagni di avventura invece hanno prosciugato il serbatoio.

La seconda parte dell’endurance è stata determinante, ha mostrato la vera differenza tra piloti e amatori; non tutti sono stati in grado di mantenere il ritmo della prima parte di gara, ma fortunatamente non ci sono state cadute o inconvenienti. Al termine della giornata, in molti hanno deciso (forse per sfogo o per il semplice gusto di farlo) di finire definitivamente le gomme con sonori burn-out che hanno tutti apprezzato. Noi non abbiamo badato alla classifica, ma a quanto ci siamo divertiti. Ho guardato con orgoglio la mia Kawasaki er6, conscio di quello che è stato ottenuto con una moto non proprio indicata per lo scopo.

Ho apprezzato le pacche sulle spalle di chi, nei box, mi ha detto “con una moto del genere, quello che hai fatto è stato semplicemente epico”.

Non ci sono stati cedimenti o anomalie sul comportamento della moto, le gomme hanno retto molto bene gli sbalzi di temperatura. Per rendere la moto più competitiva ci sono moltissimi lavori che si possono ancora fare, ma per questo 2017 mi posso ritenere soddisfatto. Nel cassetto del 2018 ci sono già un paio di progetti ma il sogno rimane correre il Manx GP con la mia Er6.

 

Continental Contirace Attack in mescola Endurance: soddisfatto, molto!

 

 

 

 

Altra soddisfazione, la saponetta grattuggiata! Alla faccia della naked da passeggio

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