Motospia

Downsizing è bello (e green)

Downsizing

Per chi cambia diverse moto nella sua vita, il downsizing è una logica conseguenza, più che una scelta.

Per cui l’iniziale tendenza alla crescita in cilindrata e potenza del proprio mezzo s’inverte nel momento in cui si ha coscienza di avere sotto le nobili terga qualcosa di esagerato per le proprie necessità. Che sia per dimensioni, potenza o altro poco importa.

Negli ultimi anni però, si è innescato un trend evidente e generalizzato, tanto che il downsizing è passato dalla sfera personale a quella, se non proprio sociale, perlomeno rilevante dal punto di vista del settore.
Ricordo le espressioni di amici e conoscenti quando, nel 1998, cambiai la splendida Honda VFR 750 F, che avevo preso nuova appena un anno prima, con una fiammante ma decisamente meno vistosa Honda Transalp 600. Mi guardarono tutti con un misto di scetticismo e di qualcosa di simile alla commiserazione, perché evidentemente la scelta denotava un decadimento concreto delle facoltà di giudizio.

A dire il vero, ritirandola dal concessionario, ebbi la sensazione del movimento solo dopo l’innesto della quarta, con le prime tre marce a regime di rodaggio si sentiva soltanto il motore salire di giri ma le velocità rimanevano risibili. Un momento di dubbio subito fugato, visto che con quella moto andai per la seconda volta a Capo Nord e portai a termine quella che ancora oggi è la mia singola tappa più lunga in un solo giorno. Per la cronaca, furono 1.670 km da Milano a casa. Ma quella è un’altra storia, l’aneddoto mi serve soltanto a dimostrare che il downsizing non mi aveva impedito di pensare (e realizzare) in grande.

Personalmente, mi servì per spazzare via pregiudizi e dimostrare a me stesso che si può fare tutto con qualunque mezzo. Del resto, la Transalp era un downsizing molto relativo. In futuro avrei avuto, tra le altre, anche una Honda CRF 250 L, che va molto oltre sul sentiero della riduzione di dimensioni e potenza, essendo un mono con 28 cavalli all’albero, ottimisticamente dichiarati. Tuttavia, ricordo anche questa con grande soddisfazione.


Negli scorsi decenni, dopo che la fine degli anni ’80 aveva visto l’abrogazione della norma che imponeva il limite dei 350 cc ai minori di 21 anni, il mercato italiano ha proposto ben poco fra le piccole cilindrate. Per qualche anno, ci furono la folle ed affascinante Suzuki Bandit 400 e pochi altri esempi, fra cui alcune due tempi che oggi sono oggetto di culto. Poi il deserto.

downsizing
Downsizing. Oggi la situazione è radicalmente cambiata ed il boom delle moto facili e leggere sembra non avere fine.
Mi sono chiesto quali siano le ragioni di questa ondata di piccole moto e ho azzardato qualche ipotesi.
La prima potrebbe essere l’integrazione dei mercati internazionali. Con la costante riduzione dei costi di trasporto globali e il proliferare di costruttori cinesi, i modelli di piccola cilindrata progettati per i mercati emergenti dell’Asia possono arrivare in Europa ed essere adattati, a costi ragionevoli, alle nostre normative, restando molto competitivi in termini di prezzo e quindi creando opportunità per le Case o per importatori con una solida organizzazione alle spalle.

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Le numerose acquisizioni di marchi italiani da parte di produttori cinesi, che hanno iniettato capitali provvidenziali in aziende che non avevano più la capacità di sopravvivere da sole, hanno rafforzato e diversificato il trend. Benelli, che è rinata sotto la pioggia di denaro del gruppo Geely, è un esempio eclatante e ormai sembra anche aver trovato la formula vincente, piazzando regolarmente la sua TRK 502 sul podio delle moto più vendute.

Ma mettere in vendita le moto non basta a convincere i potenziali acquirenti a comprarle. Ci dev’essere altro, mi sono detto. Potrebbe essere il fattore ecologico? Le piccole cilindrate con motore a quattro tempi, dai consumi esigui, hanno un impatto minimo sull’ambiente. Quando sono costretto ad utilizzare la mia Peugeot 206 1.6, mi va bene se brucio un litro di benzina ogni 10 km. Quando posso utilizzare l’Honda SH 125, con lo stesso litro di km ne faccio 40 e Greta Thunberg mi scrive una mail di ringraziamenti a nome della calotta polare. Magari la sensibilità ecologica è cresciuta e questo spinge i motociclisti a variare le proprie preferenze. Ma non mi sembra abbastanza.

La sempre più diffusa tecnologia applicata ai controlli di velocità, forse? Ormai una moto che supera i 200 km/h, più che un’esaltante fabbrica di adrenalina, in certe zone sembra più un inceneritore di patenti. Fra Tutor, autovelox con postazioni fisse e mobili, telelaser e quant’altro, andare oltre i limiti è diventato pericoloso in termini di sanzioni, oltre che per l’incolumità fisica, com’era sempre stato. Eppure neanche questo mi sembra sufficiente. Ci dev’essere qualche altra ragione a giustificare il “downsizing”. E forse la scopro osservando me stesso.

Perché ultimamente mi sorprendo a pensare alla gioia che dà il motociclismo vissuto a bassa velocità, senza impegno. E’ una cosa che ho scoperto con la nascita dei miei figli, quando la necessità di essere presente con poco preavviso mi ha spinto a sostituire il turismo a lungo raggio con escursioni più brevi. Ma non per questo meno gustose.

C’è una grande gioia nel vagare per strade secondarie, trascurate dal traffico perché non strategiche alla comunicazione efficiente. Strade che non sono il modo più veloce di andare da A verso B, ma magari sono quello più scenografico.

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Facendo il parallelo con il pane, queste strade sono quello a lievitazione naturale, contro quello industriale che è veloce a prodursi, poco costoso. Efficiente, appunto. Ma vogliamo paragonare il sapore? Il bello di queste strade è essere vissute a velocità comprese fra 40 e 70 km/h e, nonostante la mia Tracer abbia un motore davvero volenteroso ed elastico, a cinquanta all’ora su un tricilindrico 900 mi sento stupido pure io che sono abituato ad essere guardato strano dai tempi del cambio fra VFR e Transalp.

Ci vuole una 125, mi dico! Una moto le cui prestazioni facciano scartare a priori l’idea di fare presto, di cambiare andatura. Una moto che costi poco, sia all’acquisto che per il mantenimento. Una moto semplice, di quelle che parcheggi senza fare il censimento delle auto vicine, calcolando le probabilità che la urtino in manovra. Senza studiare le statistiche dei furti. Senza pensare a quanto inciderà la svalutazione nei prossimi anni. Un monocilindrico raffreddato ad aria, per cui l’unico pensiero dev’essere accertarsi che ci sia olio in buone condizioni e un minimo di benzina.

Al momento, sceglierei una Honda CB 125 F a cui fare il pieno e, andando a 60 all’ora, rifarlo dopo 700 km. Una moto sulla quale scoprire che la pace e la bellezza sono a portata di mano, sulla quale staccare la spina delle preoccupazioni di qualunque genere per rubare al quotidiano una parentesi di spensieratezza. E non bisogna neanche fermarsi alle strade vicino casa. Basta cercare in rete, per esempio sul forum di advrider.com le quasi 700 pagine del “Minimalist touring thread (250cc and under)”. Oppure su HUBB (Horizons Unlimited Bulletin Board). C’è gente che è salita in sella ad una piccola moto e ha girato il mondo. Leggete, guardate le foto ed esaltatevi come me.
Ci penso concretamente. Una moto leggera, facile, con cui divertirsi a piegare ma con meno rischi, una moto per godere della bellezza in maniera saggia. Un pensiero da persona matura, no?

Allora mi viene un dubbio: può darsi che la spiegazione al downsizing sia proprio questa? Che ci sia una concreta mancanza di ricambio generazionale fra i motociclisti? Quelli che incontro in sella, raramente sono giovani, la classe più rappresentata è quella degli over 40, quelli under preferiscono un cellulare iperconnesso ad una strada sconnessa. Uno spunto di riflessione: che la causa del downsizing motociclistico sia un oversizing anagrafico? Non lo so, ma il progetto di acquistare una piccola, economica 125 con cui fare turismo mi piace molto…

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