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Alla scoperta di Burgio: campane, ceramiche e mummie.

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Ogni scusa è buona per fare turismo, per conoscere, per scoprire. Sono stato tre volte a Capo Nord e mai in cima allo Stromboli, 5.000 km più vicino a casa. È arrivato il momento di colmare le mie lacune…

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Abito esattamente di fronte ad una chiesa. Non una di quelle moderne, dalle architetture ardite e lo scampanìo riprodotto da nastro, in stile “Donne, è arrivato l’arrotino e l’ombrellaio”. Non una di quelle che sparano melodie discutibili, a volumi da discoteca ed in orari da denuncia penale. Per fortuna, la “mia” è una chiesa del XVII secolo, con le campane vere e, va detto a credito di chi le utilizza, suonate in maniera considerata. Proprio il loro rintocco mi sveglia in una mattina di sole. Vivo in una casa che fu di mia nonna e questo suono fa parte del mio mondo, conosco la voce di queste campane da sempre. Stamattina ho intenzione di saperne di più. In passato avevo avuto il piacere di visitare la Pontificia Fonderia di Campane Marinelli, ad Agnone. In quell’occasione, accertando l’esistenza e la bellezza del Molise. Ora voglio conoscere l’unica fonderia di campane che ancora opera in Sicilia. Con l’ultimo rintocco mi alzo dal letto e mi preparo all’escursione. Coinvolgerò alcuni amici e andremo a Burgio, dove è attiva la Fonderia di Campane Virgadamo.

Dopo aver visto come nascono le campane in Molise, è tempo di conoscere l’unica realtà siciliana che ancora trasforma la pesantezza del bronzo nella leggerezza delle note che si diffondono dai campanili.

Un suggerimento: se qualcuno non conoscesse la Fonderia di Campane Virgadamo, eviti di usare la scusa “probabilmente ha aperto da poco”. Perché esiste e produce dai primissimi anni del XVI secolo. Prima ancora che fosse edificata la “mia” chiesa. Vivendo in un’epoca in cui le aziende celebrano con gran pompa i cinquantenari, un cinquecentenario fa una certa impressione. Burgio, quindi.

Burgio è un piccolo paese che offre tanti motivi per una visita. Tra campane, ceramiche e mummie, c’è tanto da vedere e lo si può fare senza fretta, recuperando il senso del relax.

Un paese di poco più di 2.500 abitanti, che tuttavia riesce ad offrire più di un motivo per una visita. Oltre alle campane, infatti, ci sono le ceramiche. E se tanto non fosse sufficiente, presso il convento dei cappuccini è visitabile il Museo delle Mummie. Direi che basta e avanza per mettersi in sella! Anche oggi, gennaio continua a credere di essere marzo e non sarò certo io a convincerlo del contrario. Strade asciutte, cielo sereno. Solo i mandorli in fiore dicono che siamo in pieno inverno. Per chi venisse da Palermo, un itinerario piacevole ma lineare inizia con la SS121, che dall’estremità orientale del capoluogo conduce verso sud, in direzione di Agrigento. La 121 è una veloce statale, piuttosto pericolosa per i tanti incroci ed interessata da anni da numerosi cantieri. Consiglio di guidare con particolare attenzione ed abbandonarla dopo meno di 15 km, quando in prossimità di Bolognetta un cartello offrirà la possibilità di andare a destra, verso Marineo e Corleone. La statale appena imboccata è la 118, molto più godibile della precedente, più tortuosa – ma sempre scorrevole – e con diversi spunti panoramici.

Una trentina di km di guida fra alte colline che diventano quasi montagne. Poi si arriva in vista di un paese il cui nome è noto per i motivi sbagliati: Corleone. Paese che ha tutte le carte in regola per essere invece noto per i motivi giusti.

I chilometri scorrono piacevoli su questa strada piuttosto ben pavimentata, con meno tratti in frana rispetto alla disastrosa media regionale. Il traffico è ridotto e la vista può spaziare su tanta vegetazione quando si costeggia il Bosco della Ficuzza, quindi si offre agli occhi anche lo specchio d’acqua del lago Scanzano. In poco tempo si arriva a Corleone. Il paese, noto ai più per il fenomeno mafioso che qui ha avuto un centro di potere storico, ha invece le carte in regola per avere notorietà dal punto di vista turistico. Restando sulla 118 non se ne attraversa il centro che, invece, meriterebbe una sosta. Fuori dal paese in direzione sud, lasciamo con un po’ di rimpianto la 118 per imboccare la 188 dir. Tramite la quale raggiungiamo Chiusa Sclafani, che si definisce “paese delle ciliegie”. Il frutto viene celebrato in una sagra annuale. Da Chiusa proseguiamo sulla statale 386 che ci porta, finalmente, a destinazione. Da Palermo abbiamo percorso circa 110 km e siamo pronti a saperne di più sulle campane.

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Curve tra le colline e l’occasionale mandorlo in fiore a disegnare una nuvola bianca sul ciglio della strada. Guida rilassata e le prime case di Burgio ci dicono che abbiamo raggiunto la nostra meta.

Parcheggiata la moto in piazza, ci dirigiamo alla Fonderia Virgadamo dove ci accoglie il giovane titolare Luigi Mulé Cascio. Attuale rappresentante dell’antica arte tramandatagli dal nonno, ci illustra le fasi di lavorazione di un oggetto che ha alle spalle molti più calcoli e progettazione di quel che si possa sospettare. Si utilizzano sofisticate elaborazioni al computer, ma abbinate a qualcosa che non potrà mai essere informatizzato: l’arte. All’interno della fonderia, Luigi ci racconta che il punto di partenza è la nota che si vuole ottenere dalla campana. Da questa base si determinano le dimensioni e si può iniziare a costruire la forma da utilizzare per la fusione. Che è solo l’acme, il passo finale di un lungo processo.

Alla Fonderia Virgadamo abbiamo modo di vedere i vari stadi della lunga gestazione di una campana. La costruzione degli stampi, modellati con l’argilla, i lingotti di bronzo. La fusione…sarà per un’altra volta.

Si dovranno infatti utilizzare mattoni e modellare l’argilla, aspettando anche mesi prima di essere in grado di compiere quel rito, che sarà accompagnato da canti devoti. Al momento giusto si riscalderà un forno a legna con il piano inclinato, in cui verranno posti lingotti di bronzo da una decina di kg ciascuno. Si porterà il forno a 1.150 gradi ed il metallo diventerà un liquido rovente.

Le sagome per il profilo della campana.

Poi Luigi darà il via, romperà il tappo ed il metallo liquido colerà nelle forme. Ne occuperà tutti gli spazi e tornerà solido, non più lingotto ma campana. Prenderà corpo il minimo dettaglio della forma, la più piccola decorazione creata con la cera. Un materiale che esiste per poco tempo e s’immola per dare vita secolare al bronzo che ne riproduce i contorni.

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Se la fusione non riesce, si perde tutto il lavoro precedente. Se va bene, la campana dev’essere lucidata e, soprattutto, accordata per emettere rintocchi all’esatta frequenza desiderata.

Tirata fuori, la campana viene lucidata e accordata in modo da emettere la nota perfetta. La passione di Luigi traspare evidente mentre racconta di quest’arte che è storia della sua famiglia, identità. Come curiosità, diciamo che il prezzo di una campana è di circa 30 euro al kg. Copriamo a piedi il centinaio di metri che ci porta ad un museo delle campane, ancora in allestimento. Lì ascoltiamo un carillon, che con 7 campane ci delizia con numerose melodie. Usciamo col sorriso, dimenticando anche di chiedere se è possibile acquistare qualche souvenir. Torneremo.

Carillon.

Il leit motiv della visita a Burgio è la presenza di persone sorridenti, accoglienti. Disponibili a dare una mano ed a venire incontro alle nostre esigenze, anche derogando ai loro orari di lavoro.

Prima di pranzo, abbiamo il tempo di visitare il Museo delle Mummie, presso il convento dei cappuccini (GPS 37.595225, 13.289779), anche questo a poche centinaia di metri dalla fonderia. Attendiamo qualche minuto perché l’impiegata venga ad aprirci il museo fuori dagli orari normali. E’ una gioia incontrare persone gentili, disponibili e sorridenti. Alla fine della giornata a Burgio, questa gioia l’avremo provata tante volte. In una sala adiacente al convento, 49 corpi parzialmente mummificati sono esposti con gli abiti dell’epoca.

Principalmente risalenti al XIX secolo, non hanno nulla di macabro e quasi rassicurano sull’esito finale di un ineluttabile cammino. Il fatto che il museo non abbia nulla di macabro è confermato dalla fame. Per il pranzo, la scelta cade sul ristorante Garella (GPS 37.597736, 13.292220), tanto per cambiare…a poche centinaia di metri da tutto il resto! Burgio è un borgo, l’avevo premesso.

Museo delle Mummie.

Mangiare al ristorante di Vincenzo Pollari è come scoprire una stanza di casa che non conoscevamo. La cucina è semplice e concreta, il servizio informale senza mai scadere di gusto e delicatezza.

Il ristorante merita la menzione perché…sembra un’estensione di casa. Non ha nessuna pretesa di estetica ricercata o modernità, l’accoglienza è a dir poco affettuosa ed il cibo genuino ed abbondante. Alla fine, il conto ridotto non è l’unica piacevole sorpresa, perché Vincenzo Pollari ci invita a vedere l’esposizione di presepi in un locale attiguo al ristorante.

Un edificio del presepe di terracotta.

E ne vale la pena, perché sono uno più bello dell’altro! Il primo è scolpito nel tufo, con figurine di ceramica a popolarlo. L’altro è formato da edifici in terracotta, con ogni dettaglio definito da un pezzo singolo modellato con pazienza. Per dare un’idea, ogni coppo che concorre a formare il tetto degli edifici ha una lunghezza di un paio di centimetri. E ce ne sono migliaia! Pazienza. Passione. Senza dubbio: arte.

Il presepe scolpito nel tufo.

I presepi di terracotta che vediamo a fine pranzo fanno da trait d’union fra il ristorante ed il laboratorio di ceramica, dove da quattro secoli vedono la luce oggetti decorativi e d’uso quotidiano.

A proposito di arte, resta ancora da conoscere la ceramica burgitana. Fa buio presto. Nonostante la splendida giornata, è pur sempre inverno. Salutiamo Vincenzo Pollari con la promessa di rivederci. Abbiamo ancora il tempo di coprire le poche centinaia di metri (sorpresa, eh?) che ci separano dal laboratorio della famiglia Caravella. Ci accoglie il figlio del titolare. Gentilissimo, disponibile e sorridente (sorpresa, eh?). Anche se la famiglia opera dal 1857, il laboratorio è antecedente è ha ancora dentro il forno originale del XVII secolo.

Scorcio del laboratorio Caravella.

Il negozio è moderno, ma il laboratorio è un sovrapporsi di strutture di epoche diverse, una sinfonia di ceramiche colorate, di angoli bui, di luce che filtra dal tetto. Dovunque, oggetti sparsi in attesa di essere sistemati al punto vendita attraggono lo sguardo e conquistano. Alla fine, più di uno verrà con noi a casa, a testimoniare della nostra scoperta di Burgio.

Burgio è un piccolo paese, ma non riusciamo nemmeno ad esaurire le sue proposte. Il Museo della Ceramica dovrà attendere il nostro ritorno. Ci mettiamo in sella col sole che declina verso l’orizzonte.

Ci sarebbe ancora il MUCEB, il Museo della Ceramica di Burgio. Ricco di reperti che permettono di seguire la storia della manifattura locale fin dalla fine del ‘500, quando fu avviata da artigiani provenienti da Caltagirone. Non lo visiteremo oggi, però. Useremo il museo come scusa per tornare a trovare Vincenzo Pollari e salutare Luigi e le sue campane. Il sole sta calando, inesorabile. E’ tempo di risalire in sella e rientrare, magari continuando verso sud sulla 386 fino a Ribera, finché c’è luce. Dopo il tramonto andrà bene anche un percorso lineare. Come quello offerto dalla 115 fino a superare Sciacca, poi dalla 624 che porta verso nord, fino a Palermo. Metto la moto in garage, sistemo gli oggetti di ceramica. Vado a letto felice per la scoperta di questo minuscolo borgo, così vicino e così ricco di bellezza. Mi addormento col sorriso. Quando mi sveglieranno, le campane avranno un suono molto più carico di significato.

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